A sostegno di un popolo “attaccato alla vita”

A sostegno di un popolo “attaccato alla vita”

9 Luglio 2018 0 Di Rocco Gumina

Il cristianesimo infatti non è un modo di dire,

ma un modo di vivere

(Ignazio Silone, L’avventura di un povero Cristiano, 1968)

 

Il 9 maggio del 1993, Giovanni Paolo II pronunciava ad Agrigento – a conclusione della messa celebrata nella Valle dei Templi – un discorso denso, chiaro e deciso che ha delineato la qualità e la possibile efficacia di un ragionamento cristiano finalizzato a resistere alla mafia. Da allora, il mondo è molto cambiato. La geopolitica internazionale e i partitismi locali hanno nuovi volti e si muovono a partire da rinnovate istanze destinate raramente allo sviluppo della comunità umana. Anche la Sicilia si trova, con tutte le sue potenzialità e depressioni, a decifrare i rischi e le opportunità della globalizzazione. Nonostante i repentini cambiamenti economici, politici e culturali avvenuti negli ultimi venticinque anni, nell’isola permane una radicata e influente criminalità organizzata. Dopo aver concluso il periodo “stragista”, oggi la mafia si muove al pari di un torrente sotterraneo che investe ogni angolo della società siciliana e, perciò, interroga e preoccupa anche le comunità ecclesiali.

A venticinque anni dalle parole di condanna di Giovanni Paolo II rivolte alla civiltà della morte generata dalla criminalità organizzata, con la lettera intitolata Convertitevi!(Il Pozzo di Giacobbe, 2018) – rivolta tanto ai credenti quanto a chi opera per la giustizia e la pace, oltre che agli stessi mafiosi – i vescovi siciliani desiderano riflettere per sostenere un discorso propriamente cristiano ed ecclesiale di resistenza alla mafia. Secondo i pastori delle Chiese di Sicilia, è necessario lasciarsi interpellare ancora da quel celebre discorso di Wojtyla poiché si tratta di un vero e proprio: «annuncio evangelico, peraltro, coraggiosamente e sapientemente mirato. Vale a dire non formulato in termini generici o espresso in astratto, bensì rivolto proprio a noi siciliani» (Convertitevi!, p. 11). Infatti, alla luce della peculiare visione cristiana, Giovanni Paolo II da un lato ammoniva i mafiosi responsabili di aver calpestato il diritto alla vita proveniente da Dio, dall’altro invitava i siciliani, perciò anche gli affiliati alle cosche, alla conversione poiché il popolo di Sicilia è: «talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole la civiltà della vita. Nel nome di questo Cristo crocefisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via e verità. Lo dico ai responsabili: Convertitevi!».

Il discernimento cristiano del fenomeno mafioso comincia dall’assunzione degli esiti nefasti prodotti dalla presenza delle cosche nell’isola. A parere dei vescovi siciliani, al ricordo delle tante e diverse vittime di mafia bisogna legare una testimonianza educativa, sociale, politica, culturale ed imprenditoriale tesa ad arginare l’opera mafiosa interessata in modo esclusivo: «a inquinare la politica e la pubblica amministrazione, a frenare lo sviluppo economico deviandolo verso finalità illecite e piegandolo a privati tornaconti, a minare in vari modi la libera convivenza, ad attentare al bene comune, a rubare dai cuori degli onesti la speranza in un futuro migliore» (Convertitevi!, pp. 15-16).

L’analisi della realtà riletta sotto la luce dell’annuncio evangelico, genera nella storia un particolare timbro profetico come quello che Wojtyla ha tracciato alla Valle dei Templi. Difatti, il cambiamento può avviarsi a partire dalla consapevolezza che la mafia è una struttura di peccato la quale sparge il proprio seme di morte sia fra gli appartenenti alle cosche sia tramite la corruzione amministrativa e la cultura malavitosa: «Tutti i mafiosi sono peccatori: quelli con la pistola e quelli che si mimetizzano tra i cosiddetti colletti bianchi […] Peccato ancor più grave è la mentalità mafiosa, anche quando si esprime nei gesti quotidiani di prevaricazione» (Convertitevi!, pp. 20-21). L’incompatibilità tra mafia e Vangelo è la logica conseguenza dell’opposizione di una cultura di morte come quella mafiosa alla cultura della vita profetizzata dal messaggio cristiano.

Va precisato, a parere dei pastori delle Chiese siciliane, che il discorso cristiano sulla mafia non può livellarsi su ragionamenti sociologici, giuridici, politici o esclusivamente morali tipici dei vari segmenti istituzionali operanti nella società. Piuttosto, con sempre maggiore consapevolezza, la comunità ecclesiale intera è chiamata ad elaborare parole ed opere profetiche capaci di interpellare e scuotere la coscienza tanto dei mafiosi quanto di chi ha perso ogni speranza di cambiamento. Perciò, nel mutamento d’epoca in atto, per i pastori delle comunità siciliane: «dobbiamo accettare la sfida – precipuamente formativa ed educativa – di risvegliare nelle persone il senso dell’appartenenza ecclesiale» (Convertitevi!, p. 32).

Le parole pronunciate nella nostra isola venticinque anni fa da Giovanni Paolo II hanno definitivamente avviato il discorso cristiano sulle mafie. La lettera, che i vescovi inviano al popolo siciliano nella ricorrenza di quella storica visita, si propone di continuare a rileggere con la luce del Vangelo i problemi e le sfide che si presentano tanto alle comunità ecclesiali quanto all’intera società. Il titolo dello scritto rimanda all’atteggiamento di umile pentimento e di concreto cambiamento di sé che ogni fedele, non meno dei mafiosi, è invitato ad assumere nella propria esistenza. L’invito alla conversione riguarda integralmente la nostra comunità che deve abbandonare la cultura della morte per abbracciare quella della vita. L’intera Chiesa siciliana guidata dai suoi vescovi può avanzare un contributo al popolo siciliano se, alla luce del proprio specifico cristiano, oltre ad un modo di dire nuovo proporrà e testimonierà un modo di vivere nuovo.

 

Rocco Gumina

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