Benvenuta Aisha!

Benvenuta Aisha!

12 Maggio 2020 0 Di Rocco Gumina

Finalmente Silvia Romano è tornata a casa. I mesi di paure e di silenzi si sono interrotti con l’arrivo della notizia ufficiale della liberazione e soprattutto dopo l’abbraccio con i familiari. La giovane cooperante partita con il desiderio di sostenere processi di sviluppo in terre martoriate, torna in Italia dichiarandosi convertita all’islam. Questa scelta l’ha condotta a cambiare il suo nome in Aisha, una delle spose del profeta Muhammad.

In un tempo così difficile per la nostra nazione, la gioia per questo inatteso evento è stata smorzata da una serie di interpretazioni specialmente avanzate sui social che hanno fatto emergere un approccio pseudo-psicologico, un orientamento para-sociologico e una spiritualità coltivata, nel migliore dei modi, tramite dirette streaming e orazioni recitate insieme a qualche conduttrice televisiva. Nella maggior parte dei casi, simili interpretazioni mi sono sembrate dal tono fondamentalista e perciò terribilmente superficiale nel senso che ogni fondamentalismo rifiuta di comprendere la complessa densità dell’umano e della sua ineludibile dimensione religiosa la quale resta strettamente connessa alla carne.

Così, la gioia di rivedere la giovane cooperante può invitare la nostra comunità nazionale tanto a comprendere l’asticella del suo cambiamento in positivo durante l’epoca di pandemia – sinora più o meno pari allo zero – quanto a riflettere su alcune questioni che abitano la nostra complessità.

Credo che si debba partire dal fatto che la conversione di Silvia sia passata sotto la lente d’ingrandimento di un approccio esclusivamente socio-psicologico delle dinamiche spirituali le quali in momenti di dolore, di privazione e di crisi concedono la loro più propria originalità. Cioè, prima di individuare una determinata sindrome di tipo psicologico o un modo di conformarsi di stampo sociologico, dalla lezione di Aisha dovremmo imparare ad inquadrare le vicende di conversione alla luce delle dinamiche spirituali che prevedono l’incontro con una parola rivelata e un tentativo di conformazione a quelle che diventano verità. Verità che, anche nel caso dell’Islam, prevedono la coesistenza pacifica e fraterna fra i figli di Abramo.

Poi, quello che colpisce in positivo dalla testimonianza di Aisha è l’affermazione connessa alla sua libera scelta di imparare l’arabo, di leggere il Corano e di convertirsi all’Islam. Se per un attimo mettiamo da parte ogni lettura strutturata di tipo psicologico o sociologico – che almeno in questo frangente hanno richiamato le sovrastrutture di marxiana memoria – possiamo provare a credere alle parole di una ragazza che nel momento più difficile della sua vita ha conservato la libertà di credere o meno, di abbracciare o rifiutare la fede. I suoi carcerieri, molto probabilmente, non le hanno proposto la fede ma solo di non fuggire poiché erano interessati più al riscatto che al destino spirituale della giovane italiana. Così, proprio la libera scelta di adesione all’Islam di Silvia Romano mette in black-out buona parte del dibattito pubblico italiano che – ritenendosi liberale – si riscopre fondamentalista nel bel mezzo del salvataggio di una connazionale che ha rischiato la vita per aiutare gli africani a casa loro.

Inoltre, la riflessione sulla scelta di conversione all’Islam maturata da Silvia è avvenuta più o meno contemporaneamente alla richiesta da parte delle comunità musulmane d’Italia, e di buona parte d’Europa, di tornare ad esercitare la libertà di culto. Questa richiesta è stata avanzata nel pieno rispetto delle costituzioni democratiche – meglio appellandosi a queste – e all’indomani dell’alleggerimento delle restrizioni alle libertà personali inizialmente dovute per evitare il più possibile la diffusione del virus. La connessione sulle due questioni, apparentemente assai distanti, ci restituisce un dato parecchio importante: nel nostro Paese sappiamo poco o nulla dell’Islam e tutto quello che pensiamo di conoscere è mutuato da una retorica sulla religione musulmana fatta di stereotipi, di superficialità e finanche, in alcuni casi, di disprezzo.

Mi pare, allora, che la gioia di rivedere sana e salva Silvia Romano – che d’ora in poi impareremo a chiamare Aisha – ci apra verso un esito non previsto sino a qualche ora fa. Tale esito si dirama su due versanti. Da un lato siamo chiamati a vedere se i presupposti della nostra cultura liberale siano davvero così profondi; dall’altro dovremmo impegnarci come comunità nazionale per la realizzazione di un piano di formazione a partire dalle scuole che possa prendere sul serio il dato della cultura religiosa e delle religioni al fine di legarlo alla complessa densità dell’umano. Solo in tal modo potremmo evitare i facili fondamentalismi che prima di situarsi al di là dei nostri confini si annidano e si fortificano all’interno delle nostre comunità.

 

Rocco Gumina

CONDIVIDI QUESTO ARTICOLO