Chiesa e mafia in Sicilia. Recensione a “La Chiesa sotto accusa” di don Francesco Stabile

Chiesa e mafia in Sicilia. Recensione a “La Chiesa sotto accusa” di don Francesco Stabile

14 Febbraio 2023 1 Di Rocco Gumina

Francesco Michele Stabile, La Chiesa sotto accusa. Chiesa e mafia in Sicilia dall’unificazione italiana alla strage di Ciaculli, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2022, pp. 564, 42,00 euro.

La recente pubblicazione di Francesco Stabile – presbitero della Chiesa palermitana e docente emerito di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica di Sicilia – ricostruisce la relazione fra Chiesa e mafia in Sicilia dall’unificazione italiana sino alla strage di Ciaculli del 1963. È un libro di storia capace di narrare l’evoluzione culturale, sociale, politica e religiosa del popolo siciliano in decenni assai significativi al fine d’intendere la contemporaneità isolana. Infatti la ricerca di Stabile offre spunti e intuizioni in grado di leggere con occhio critico il presente e di indicare percorsi alternativi per il futuro.

Lo studio che si presenta parte dalla coscienza che in Sicilia l’interpretazione del fenomeno mafioso ha indotto la società civile, la politica e la Chiesa ad effettuare una lunga marcia verso la maturazione della consapevolezza del male generato dalla criminalità organizzata. Per l’autore si tratta di una lunga marcia che ha permesso l’individuazione di difficoltà interne ed esterne alla Chiesa come la delimitazione del concetto di mafia, il prevalere di un’idea benigna di mafiosità e l’incertezza connessa all’identità associativa o individuale dei crimini attribuiti alla mafia. Simili difficoltà riguardavano la cultura e l’intera società dell’epoca e, quindi, colpivano anche gli uomini e le donne della comunità ecclesiale giocoforza condizionati dall’humus comune. Ad esempio, in diverse pagine del volume, viene riportata la valutazione che il cardinale Ruffini dava della mafia intorno agli anni Cinquanta. Per il pastore della Chiesa palermitana si trattava di uno strumento di lotta politica che i socialcomunisti usavano per screditare i membri del partito della Democrazia Cristiana. In realtà, come registra l’autore, la mafia «veniva riconosciuta o subita da larga maggioranza della gente come radicata nel tessuto sociale locale, come un male o come una risorsa o forza necessaria all’interno di una società che poco si sentiva tutelata e che perciò poco aveva introiettato il senso dello Stato da cui non si sentiva rappresentata» (p. 254). Da ciò possiamo evincere che la ricerca di Stabile offre un importante apporto al dibattito su Chiesa e mafia. Contributo legato all’intendere simile relazione all’interno della complessità ben delineata nelle pagine del volume.

Per l’autore, valutare l’azione della Chiesa siciliana nei confronti della mafia significa registrare la debolezza di buona parte del cattolicesimo isolano. Su questo tema, Stabile annota «dobbiamo sottolineare il condizionamento sociale e il permanere dell’idea di cristianità che spingeva molti preti a riconoscere come cattolici, cattolici sui generis, coloro che battezzavano figli, sposavano in Chiesa […] senza chiedersi se c’era in questi coerenza con il Vangelo nelle loro scelte di vita. Tolleranza che veniva usata non solo verso i mafiosi, ma anche verso tutti coloro che non potevano non dirsi cristiani dal momento che in Sicilia dire “cristiano” è dire “persona umana”» (p. 231).

Malgrado la debolezza del cattolicesimo, il libro rammenda le diverse figure di santità fiorite in quegli anni. Testimonianze credibili che però non sono riuscite a dare impulso alla fermentazione di un’etica sociale cristiana. In quest’ottica, l’autore ricostruisce l’opera di molti preti sociali che – mossi dall’insegnamento sociale della Chiesa promosso con la Rerum novarum di Leone XIII – tentarono un rinnovamento religioso e civile. Fra questi, don Luigi Sturzo che rientrato in Sicilia dopo gli studi romani scrisse un’opera teatrale sul tema mafioso e cercò di arginare la malavita organizzata durante gli anni delle sue sindacature a Caltagirone. La carenza di un’etica sociale cristiana, secondo Stabile, perdura «nonostante le acquisizioni del Concilio Vaticano II e si può cogliere anche nel perdurare di una frattura tra il credo religioso e l’agire del credente che travolge la coerenza evangelica di molti battezzati. Questa carenza permette una sorta di tolleranza verso chi, ligio ai doveri individuali, pubblicamente non rispecchia l’insegnamento evangelico» (p. 512).

L’assente, o quantomeno scarsa, dimensione sociale del cattolicesimo siciliano può superarsi alla luce di un rinnovato impegno educativo e formativo delle comunità ecclesiali isolane. Una sfida, quest’ultima, che la Chiesa siciliana deve accettare al fine di continuare a generare una cultura della vita. Tale impegno, in realtà, veniva già richiesto all’inizio degli anni Cinquanta dal sostituto di segreteria di Stato mons. Dell’Acqua il quale in una lettera indirizzata al cardinale Ruffini, consigliava che «anche da parte ecclesiastica sia promossa un’azione positiva e sistematica con i mezzi che le sono propri – d’istruzione, di persuasione, di deplorazione, di riforma morale – per dissociare la mentalità della così detta mafia da quella religiosa» (p. 469).

Nell’assumere un afflato pastorale, alcune pagine della ricerca di Stabile sostengono l’esigenza di un rinnovato impegno educativo della Chiesa siciliana volto ad interpretare il fenomeno mafioso con categorie che sono proprie della visione cristiana del mondo. Per via di quest’ultima, la mafia – operatrice di morte e distruzione – risulta incompatibile con la cultura della vita promossa dal Vangelo. Una cultura la cui forza risiede nell’appello al cambiamento, alla conversione e, dunque, alla speranza rivolto a tutti i credenti inclusi gli appartenenti alle cosche mafiose.

Infine, il volume è anche un’occasione per tornare a discutere – attraverso la ricostruzione storica – dell’annoso divario economico e sociale fra Nord e Sud del Paese. Difatti, nel sottosviluppo meridionale la mafia continua a tessere relazioni significative con vasti settori della società. Ciò le ha permesso di mettere radici su tutto il territorio nazionale e di alimentare il traffico di droga, di armi e di rifiuti tossici. Dinanzi a tale situazione pare opportuno riprendere la lezione di molti siciliani – come don Luigi Sturzo e Piersanti Mattarella – che avevano a più riprese ipotizzato un piano organico di sviluppo dell’intero Mezzogiorno d’Italia.

Da quanto emerso sembra opportuno affermare che oltre ad essere un notevole contributo per la ricostruzione storica della Chiesa siciliana del Novecento, il volume di Stabile offre stimoli teologici, pastorali e culturali significativi per il cammino sinodale in corso nelle comunità ecclesiali siciliane e italiane.

Rocco Gumina

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