L’Italia ha bisogno di popolarismo non di populismo

L’Italia ha bisogno di popolarismo non di populismo

28 Aprile 2021 0 Di Rocco Gumina

Uno dei temi fondamentali dell’ultima enciclica sociale di papa Francesco, la Fratelli tutti, è quello connesso al superamento della crisi in atto tramite il dialogo, l’inclusione e la fraternità umana. Per Bergoglio ciò non potrà avvenire mediante una metodologia populista bensì attraverso il popolarismo. Sicuramente quest’ultimo è ancora oggi una via tanto cara ai cattolici italiani sia perché rimanda agli insegnamenti e alla testimonianza di Luigi Sturzo sia perché avanza una visione di politica, di società e di uomo che ha ancora molto da dirci. Infatti per affrontare la questione della cultura dello scarto denunciata dal vescovo di Roma, necessitano soluzioni che pongano al centro l’uomo e i suoi bisogni al pari della proposta avanzata del Partito popolare sturziano.

Dai cittadini alle famiglie, dalle associazioni agli enti locali, dalla politica internazionale all’economia civile, la politica dei popolari ha indicato una società plurale nella quale tutti i partecipanti sono attori per la ricerca del bene comune. Tramite il suo insegnamento, papa Francesco invita i cristiani a costruire con gli altri una politica sempre più consona alla ricerca della dignità umana. Per raggiungere simile obiettivo è saggio rileggere, e reinterpretare, nell’attualità il messaggio del popolarismo. Sembra che quest’ultimo sia il tentativo sviluppato da Flavio Felice – professore ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise – con il suo recente volume intitolato Popolarismo liberale. Le parole e i concetti (Morcelliana, 2021).

Felice costruisce la sua riflessione a partire dalla convinzione che la specifica prospettiva sociale e politica del popolarismo si radica sul messaggio cristiano per via del quale, una volta per tutte, si dichiara nella storia che «il potere politico non è il padrone della coscienza, né è il potere a giudicare la coscienza, ma la coscienza di ogni uomo a giudicare il potere politico» (p. 12). Con simile presupposto, il cristianesimo si configura come uno snodo storico volto tanto a relativizzare il potere della politica quanto a sostenere il protagonismo della società civile in tutte le sue forme e ramificazioni. L’autore ricorda come, per l’ottica gesuana, attribuire al «potere politico la funzione puramente secolare di raccogliere le tasse non implica attribuirgli alcune missione religiosa o salvifica: la salvezza viene da Dio e non da Cesare» (p. 33). Così, la svolta annunciata dalla fede cristiana ha condotto a differenziare la politica dalla sacralità e, pertanto, a relativizzare la prima e a concedere la giusta misura alla seconda.

Nel corso della storia, le conseguenze sul piano politico di tale novità hanno assunto un carattere rivoluzionario nel senso che – con la concezione cristiana – le istituzioni sono finalizzate al bene dell’uomo e non viceversa anche perché la fede ha una rilevanza pubblica perciò politica e sociale. In tal modo, il cristianesimo dei primi secoli avvia un processo di liberazione da un’idea di autorità assoluta che conduceva all’identificazione fra impero e religione. Secondo l’autore, infatti, il pensiero cristiano ha introdotto una sorta di relativismo istituzionale in grado di fecondare la generazione di quei processi destinati a condurre alla democrazia liberale. Questo cammino di secolarizzazione è stato possibile, a parere di Felice, per via «del messaggio evangelico che ha desacralizzato il mondo e ha consegnato un uomo che, nonostante si possa illudere e accampare pretese, non potrà mai essere Dio» (p. 48).

L’autore del volume ritiene che la valenza culturale, sociale e politica del cristianesimo abbia trovato nel Partito popolare fondato dal sacerdote di Caltagirone una possibile e rilevante interpretazione destinata ai nostri giorni a rinnovare da un lato l’economia e dall’altro le pratiche congiunte alla tutela dell’ambiente. Le sfide odierne si legano alla crescita esponenziale del dominio della tecnica sino a prefigurare una deriva tesa a sfigurare le nostre comunità. Lo strapotere della tecnica insieme alla diffusione di una cultura dello scarto rischiano di riproporre un paradigma monistico nel nostro ordinamento sociale al quale può opporsi soltanto una visione poliarchica di comunità ben elaborata dal popolarismo. Inoltre, per Felice, bisogna ricordare che «non abbiamo una società compatta, omogenea, indifferenziata, ma più società, come espressioni concrete di un processo storico nel quadro di una molteplicità di relazioni» (p. 69).

Il libro di Flavio Felice è un’importante interpretazione del popolarismo che – alla luce della centralità della libertà – può risultare assai utile per orientarsi nella complessità e nella pluralità del nostro tempo. Alle sfide dell’economia, della tutela dell’ambiente e della crisi della politica, il popolarismo liberale presentato dell’autore risponde con la centralità della persona umana a sua volta radicata in una libertà resa veramente possibile soltanto attraverso l’estinzione della miseria.

Rocco Gumina

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