Non è bene che l’uomo sia solo (Gen 2,18). La peculiarità del femminile nella spiritualità cristiana

Non è bene che l’uomo sia solo (Gen 2,18). La peculiarità del femminile nella spiritualità cristiana

20 Giugno 2018 0 Di Rocco Gumina

Per riflettere sulla relazione fra la donna e la spiritualità cristiana dobbiamo precisare, anzitutto, che non esiste una dimensione spirituale propriamente femminile nell’alveo dell’esperienza della fede in Cristo Gesù. In realtà, più biblicamente, possiamo registrare il contributo specifico che il femminile della condizione umana è chiamato a sviluppare all’interno della comunità dei credenti.

Nel secondo racconto della creazione, appartenente alla fonte jahvista, il Signore della vita si accorge della solitudine del maschile dell’umanità e pertanto, oltre alla generazione delle varie specie animali, pone la donna accanto all’uomo come suo corrispettivo in grado di colmare la solitudine e capace di fondare la comunità-comunione: Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne (Gen 2, 22-24).

Nel nostro tempo, tante donne testimoniano con la propria esistenza credente la peculiarità del femminile nella spiritualità cristiana. Infatti in ogni stato di vita, dalla consacrazione matrimoniale a quella religiosa, la donna continua a generare – con il suo specifico profilo – la comunità-comunione. Ciò si declina, proprio come narrato nel racconto genesiaco, tramite: la tessitura di positive relazioni che generano i vari gruppi umani; attraverso la trasmissione della vita nella quale la propria carne si ritrae dinanzi alla nuova creatura; nello sviluppo dell’identità umana poiché l’uomo comprende di esser tale soltanto quando davanti a sé si pone un suo pari che lo completa: la donna.

Tali argomentazioni possono trovare un riscontro storico nella testimonianza di tre donne che, fra le tante, hanno vissuto cristicamente il proprio profilo femminile: Madre Teresa di Calcutta; Chiara Lubich; Laura Grassi.

Da religiosa, Madre Teresa visse una conversione nella conversione che la condusse a rivolgersi ai più poveri fra i poveri. Questi, per lei, non erano soltanto coloro a cui mancavano il cibo, le cure sanitarie, l’istruzione ma anche le persone escluse dalla comunità umana poiché indesiderate. Con la sua opera, ispirata dal vangelo, Teresa ha edificato nella storia tante comunità in cui la comunione era possibile.

Durante la seconda guerra mondiale, quando tutto – dalle sicurezze politiche-sociali agli edifici bombardati – sembrava crollare, Chiara Lubich, insieme ad alcune ragazze, decise di leggere il vangelo e di provare a declinarlo nella storia. Da questo tentativo sorse il Movimento dei Focolari che proprio dal focolare domestico della familiarità umana, della condivisione, della relazione prende le mosse per un’azione di riforma del mondo alla luce del Cristo.Il 22 aprile del 2016 è morta Laura Grassi. Per molti di noi, probabilmente, il nome di questa donna non rimanda a nulla. Si tratta di una giovane madre, che pur colpita dalla malattia devastante della Sla, ha deciso di sospendere le cure per far nascere la figlia Alessia. Il rifiuto di Laura all’aborto è l’icona più credibile e audace del peculiare femminile che si ritrae, sino al punto di morire, per far spazio alla nuova vita.

Alle donne che si avviano alla consacrazione, matrimoniale o religiosa, o a quelle che già la vivono, la comunità credente non può far altro che ricordare il valore imprescindibile – per un’autentica spiritualità cristiana – del contributo peculiare del femminile. Quest’ultimo, anche in un contesto di consacrazione religiosa, non si esplica con una separazione dal mondo ma con una totale immersione in esso per renderlo più umano e dunque divino.

 

Rocco Gumina

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