“Non si può delegare la lotta alla mafia”. Intervista a Marco Panebianco

“Non si può delegare la lotta alla mafia”. Intervista a Marco Panebianco

10 Giugno 2018 0 Di Rocco Gumina

Marco Panebianco fa parte dello Staff della Fondazione Progetto Legalità in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia ONLUS

 

1 – Che cos’è la Fondazione “Progetto legalità? È stata costituita per perseguire quali finalità?

La Fondazione Progetto Legalità è un ente senza scopo di lucro, dedicata alla memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia. È stata costituita nel 2005 da un gruppo di Magistrati ereditando il “Progetto Legalità in memoria di Paolo Borsellino” dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, nato nel 2002 in occasione del decennale della strage di via D’Amelio.

La Fondazione nasce per supportare le scuole nei percorsi di educazione alla legalità ed alla convivenza civile: proponiamo, progettiamo e realizziamo anche specifici progetti con le scuole, organizziamo inoltre giornate formative rivolte agli enti locali sulla normativa anticorruzione o rivolte ad ordini professionali sulla normativa antimafia e sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati.

 

2 – Si discute spesso, specialmente in terra di Sicilia, di educazione alla legalità. Secondo te è utile farla e perché?

È utile se fatta bene, purtroppo non sempre accade. I buoni percorsi di educazione alla legalità sono tali se danno agli alunni gli strumenti per capire la realtà che li circonda o che li aspetterà e se li mettono in grado di scegliere con consapevolezza.

Se per utilità intendiamo efficacia, i risultati si vedono a lungo termine. Noi adesso stiamo raccogliendo i frutti degli sforzi che i primi docenti e le prime associazioni incominciarono a fare già più di 20 anni fa e credo che la realtà nella quale viviamo oggi sia migliore di quella dello scorso secolo, specialmente in Sicilia.

 

3 – Lo scorso agosto si è ricordato il venticinquesimo anno dalla scomparsa di Libero Grassi. Libero, rappresenta un’icona antimafia ben al di là del mondo delle imprese. Perché?

Il motivo è triste: perché mentre era in vita non solo non è stato “riconosciuto” come tale ma fu lasciato solo, prima di tutto dai suoi “colleghi” imprenditori che negavano che a Palermo si pagasse il pizzo.  Libero Grassi non solo ha avuto il coraggio di non pagare il pizzo ma ha denunciato pubblicamente i suoi estorsori e la mafia non poteva permetterlo, stava creando un precedente, altri imprenditori potevano seguire il suo esempio.

Nonostante l’abbiano ucciso o forse proprio per questo, sono molti gli imprenditori che però hanno deciso di denunciare, anche grazie al sostegno delle tante associazioni antiracket, che sono nate proprio all’indomani di quel tragico evento.

 

4 – La Fondazione “Progetto legalità”, ha realizzato qualche anno fa il docu-film “Io Ricordo”. A tuo parere quale importanza assume l’atto del ricordare le centinaia di vittime della criminalità organizzata?

È importante ricordare: bisogna conoscere il passato per riflettere sul presente. Attraverso queste storie capiamo cosa ha fatto la mafia, come si è trasformata, quali compiacenze l’hanno favorita. Le storie delle vittime di mafia, oggi più che mai, ci appartengono: ci appartengono come cittadini, come comunità, come forza sociale e culturale che vuole impedire che si ripetano le stesse cose. La memoria deve quindi essere  accompagnata dall’impegno, quotidiano e non solamente in occasione degli anniversari delle stragi. Le parole devono essere confermate dai fatti, altrimenti ricordare diventa inutile.

 

5 – Nelle prossime settimane, la Fondazione avvierà in alcune scuole del palermitano un percorso per alunni e docenti sulla giustizia riparativa. Di che si tratta?

Il percorso, finanziato dal MIUR, è realizzato in rete con l’stituto Professionale “Salvo D’Acquisto” di Bagheria insieme ad altre due scuole di Palermo: il Liceo “Giovanni Meli” ed il Liceo “Camillo Finocchiaro Aprile”. Il progetto si propone di far conoscere ai docenti e far esperire agli alunni il sistema della giustizia riparativa e l’utilizzo della tecnica della mediazione, applicata con successo nel sistema giudiziario penale minorile, affinchè  questa tecnica possa essere utilizzata anche nella realtà scolastica per la risoluzione di conflitti, lavorando sugli effetti generati dal conflitto, così da poter intervenire adeguatamente in casi di bullismo se non addirittura prevenirli.

6 – Per Falcone, la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Quando rifletti su questa espressione pensi che Falcone abbia ragione?

Assolutamente sì ma affinché la mafia possa avere una fine, occorre che tutte le parti della società lavorino insieme per questo scopo, non si può delegare la lotta alla mafia alla magistratura ed alle forze dell’ordine. La mafia non è solamente un fenomeno criminale ma anche un fenomeno sociale e culturale che, nel sud in particolar modo, attraversa tutte le classi sociali ed economiche. Non è formata soltanto da quelli “che sparano” ma c’è una “zona grigia” costituita da professionisti (ingegneri, medici, commercialisti, etc..), imprenditori, politici, funzionari pubblici corrotti, che non solo la favoriscono ma ne fanno parte attivamente, a volte anche con ruoli apicali. La lotta alla mafia allora deve essere un impegno di tutti, innanzitutto facendo ognuno il proprio dovere fino in fondo.

 

Intervista a cura di Rocco Gumina

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