Quale futuro per il cristianesimo?

Quale futuro per il cristianesimo?

8 Giugno 2021 0 Di Rocco Gumina

Dagli scandali connessi alla pedofilia a quelli finanziari, dalla diminuzione dei fedeli alla riduzione del clero e dei religiosi, dalla difficoltà a dialogare con il mondo contemporaneo alla fuga dei giovani dai percorsi di fede, dal sempre discusso ruolo delle donne alla mancata responsabilizzazione del laicato, la Chiesa cattolica – specialmente nel continente europeo – vive una stagione di crisi. Da tempo, diversi osservatori e leader di comunità – fra questi papa Francesco – registrano un cambiamento di civiltà in atto il quale, nel giro di qualche decennio, ha reso il cattolicesimo un elemento non più radicato nella società come nel recente passato. All’indomani del grande entusiasmo generato dal Concilio Vaticano II diverse problematiche ecclesiali, sociali e culturali hanno tramutato le attese di quella stagione in scoramenti più o meno espliciti. È chiaro che nulla è scontato nella storia dell’umanità, neanche l’esistenza della Chiesa, tuttavia la pandemia ha ridestato una riflessione sulla rilevanza, o meglio l’irrilevanza, del cattolicesimo nell’odierna società a partire dalla consapevolezza del passaggio da un cristianesimo di massa ad uno basato su cammini di fede e scelte personali.

Andrea Riccardi – fondatore della Comunità di Sant’Egidio e storico della Chiesa – in un suo recente volume intitolato La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (Laterza, 2021), riflette sulla questione della crisi del cattolicesimo a partire dall’incendio che ha devastato la chiesa di Notre-Dame a Parigi. Infatti, quella sconvolgente immagine della cattedrale che brucia rappresenta concretamente un cristianesimo che si spegne dopo essersi consumato. In realtà, per Riccardi, non tutto è perduto poiché la Chiesa conserva in ogni epoca una straordinaria capacità di adattamento, e quindi di cambiare, affinché la fede possa trasmettersi alle future generazioni. Come, fra qualche anno, Notre-Dame tornerà probabilmente al suo splendore anche il cattolicesimo potrà rinnovarsi con lo scopo di pronunciare, ancora una volta, parole generative per l’umanità del futuro.  

È chiaro che le nostre comunità non pensano più tramite un sostrato culturale cristianamente ispirato. Sin dagli anni seguenti al secondo conflitto mondiale, la Chiesa è consapevole di questa situazione e nei decenni successivi – da Giovanni XXIII a Paolo VI, da Giovanni Paolo II a Francesco – ha impostato la sua presenza nel mondo a partire dalla necessità di evangelizzare per la prima volta, o nuovamente, i popoli. Ad esempio, nel caso di Bergogli0, Riccardi sottolinea che si tratta di un pontificato caratterizzato da una «rivoluzione culturale verso una Chiesa missionaria, fuori da strutture e abitudini, non per aggiungere qualche fedele alla comunità, ma per realizzare una Chiesa di popolo» (p. 93). Nonostante simili scelte pastorali, assistiamo al calo delle vocazioni, alla dismissione di strutture e di opere gestite dalle diocesi o dalle varie famiglie religiose, ad una missione sempre meno incisiva. Ciò vuol dire che molto è mutato rispetto al passato per via dell’erosione della figura maschile, e paterna, e della fine del valore simbolico delle istituzioni a cui dobbiamo aggiungere le conseguenze della globalizzazione e della protesta studentesca iniziata nel 1968. Simili fattori hanno, nei fatti, smontato il linguaggio e le modalità di buona parte della proposta cattolica che va ripensata nell’attuale scenario dove, per fare soltanto un esempio, le difficoltà familiari «si affrontano con l’aiuto dello psicologo e sempre meno con l’aiuto del sacerdote, il che non è di per sé una scelta antiecclesiale, ma rivelatrice di autonomia» (p. 111). Va ricordato che sinora i vari tentativi volti a realizzare un “cristianesimo nella storia” hanno certamente aperto molte vie all’uomo di oggi per giungere alla fede, ma non hanno risposto alla crisi in atto la quale si è arricchita dalla relativizzazione del papato avviata con le dimissioni di Benedetto XVI.

A parere di Riccardi, l’elezione di Bergoglio ha generato una sorta di effetto sorpresa in grado, almeno all’inizio, di far dimenticare le difficoltà. Francesco si è concentrato sui giovani, sulla tutela dell’ambiente, sui migranti, sulle famiglie, sulle periferie esistenziali, sul progetto verso una nuova economia e, soprattutto, sul recupero della spinta missionaria da parte di ogni battezzato. Così, sostiene l’autore, il papa avanza l’idea di un popolo «che esce dalle strutture e istituzioni mentre comunica il Vangelo con rinnovata passione. Una posizione non di rendita, ma di estroversione comunicativa» (p. 163). Un popolo, a parere del fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che deve continuare – o tornare – a edificarsi dall’espressione più chiara del cristianesimo cioè la gratuità. Questa emerge chiaramente nell’eucarestia e costituisce l’autentico profilo del cattolicesimo capace di renderlo originale e significativo in ogni epoca storica.

Allora non si tratta di immaginare dall’alto un progetto di riforma della Chiesa gestito esclusivamente dal pontefice, o dalla sua cerchia, bensì di un processo indirizzato a ripensare la presenza nel mondo della parrocchia, delle associazioni cattoliche, dei cristiani in politica e nella società. Tutto questo richiede «una gestione meno verticistica, capace di far lievitare le iniziative comunitarie, carismatiche, laicali e personali» (p. 207). Nell’attuale situazione ciò sarà possibile anche per via dell’abbandono di ogni cultura del declino e dello scontro a favore dello sviluppo di una collaborazione – e di una vera e propria integrazione – fra gli uomini, le donne, le culture e le diverse sensibilità del nostro tempo. Per Riccardi, una Chiesa ripensata in tal modo è anche «un’alleata per l’Europa, perché crede che questa nonostante i limiti storici e attuali, sia un valore per il mondo. Non perché le radici storiche del continente sono cristiane: sarebbe un titolo di legittimità risalente al passato […] Ma l’Europa è una chance unica per la Chiesa e il mondo» (p. 218).

Il libro di Andrea Riccardi, oltre che un’analisi sullo stato della Chiesa cattolica in Occidente, è soprattutto una proposta per il futuro del cristianesimo. Quest’ultima si presenta nel testo in modo composito e pare convergere su alcuni punti che da tempo stanno a cuore al fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di un cristianesimo che deve recuperare la capacità: di lottare nella storia a partire da una empatia verso tutto ciò che riguarda l’uomo; di annunciare il messaggio di salvezza senza nascondere le proprie fragilità; di generare coesione nella società. Per via di questi motivi, il volume di Riccardi risulta un mezzo importante per quanti desiderano prendere sul serio un ragionamento indirizzato a promuovere nuove forme di cristianesimo nelle nostre comunità.

Rocco Gumina

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