Riformisti e Popolari. Spunti a margine di un dibattito politico

Riformisti e Popolari. Spunti a margine di un dibattito politico

28 Dicembre 2021 1 Di Rocco Gumina

Nel tardo pomeriggio di lunedì 27 dicembre ho partecipato a Palermo ad un interessante incontro promosso dal sindaco di Bagheria Filippo Tripoli. L’evento – intitolato Riformisti e Popolari: Possibile! – ha permesso una riflessione sull’attualità del riformismo e del popolarismo. Le tesi emerse nel dibattito, animato dal leader siciliano della Democrazia Cristiana Salvatore Cuffaro e dall’esponente di Italia Viva Davide Faraone, hanno mostrato la validità della visione popolare nell’odierno contesto destinata a rinnovare, senza stravolgere, la politica.  

Sono convinto che la rilevanza del metodo popolare di intendere la politica vada anzitutto appurata nel contesto sociale di questo tempo caratterizzato, per dirla con Bauman, da una globalizzazione finalizzata all’esclusiva ricerca della ricchezza. Ciò conduce alla generazione di alcuni disvalori come la privatizzazione di ogni aspetto della vita umana, l’individualismo misto a pratiche competitive sempre più alienanti, la crescita delle diseguaglianze sociali insieme ad emozioni negative come la paura e la chiusura nei confronti della diversità. A simile scenario non è possibile rispondere con politiche di reazione e di conservazione bensì con un cambio di paradigma destinato a puntare sul noi inclusivo dei processi popolari anziché sull’io distruttivo e divisivo dell’odierna ideologia tardocapitalistica. Così, a partire dalla centralità dell’uomo intesa nella piena espressione delle sue dimensioni relazionali – ovvero la famiglia, il lavoro, il volontariato, la politica, gli enti locali – il popolarismo potrebbe risultare una delle vie possibili per rinnovare il nostro assetto culturale, sociale e poi politico.

Credo che siano almeno cinque gli elementi di attualità della concezione popolare della politica.

In primo luogo, l’ispirazione cristiana. La fede per i credenti è la sostanza con la quale interpretare ogni dimensione della vita e, pertanto, induce a comprendere la politica non tanto come “missione a fare progetti” quanto come servizio gratuito destinato alla comunità. Un’opera, quest’ultima, mossa dalla visione cristiana del mondo ma realizzata – come insegna don Luigi Sturzo – attraverso l’aconfessionalità che impedisce di confondere l’universalità del cattolicesimo con la particolarità e la relatività delle singole proposte politiche. Oggi, il principio sturziano dell’aconfessionalità apre ad un modo positivo, aperto e includente di recepire la laicità il quale risulta anche come una delle prerogative essenziali per dare vita a soggetti partitici realmente plurali in grado di accogliere e sintetizzare approcci culturali differenti. Inoltre, l’ispirazione cristiana risulta sempre attuale quando ricorda alla politica i suoi limiti. Infatti, non è la politica a “salvare” l’uomo e a risolvere tutti i problemi dell’umanità. Insomma, la politica non è “tutto”.

Poi occorre richiamarsi al radicamento nei territori. Se la politica è la partecipazione dei cittadini alla costruzione del bene comune ciò può concretizzarsi non attraverso decisioni calate dall’alto bensì tramite un cammino popolare fatto di collaborazione e ascolto della gente nei comitati di quartiere, fra le associazioni familiari e sociali, nei corpi intermedi. Simile dinamica rivitalizza la vita dei territori e delle città destinate a divenire sempre più influenti per le strategie di politica nazionale e internazionale.

Inoltre è opportuno riprendere il metodo democratico del popolarismo. In una stagione contraddistinta da un leaderismo populistico finalizzato alla crescita delle percentuali nei sondaggi, il metodo democratico può rimettere al centro della riflessione il rinnovamento dei partiti alla luce dell’articolo 49 della costituzione italiana. Il collasso dei partiti ha sancito la scomparsa dei processi democratici in molti settori della nostra società. Rifarsi alla logica popolare non è passatismo ma opzione destinata a riprendere le fila della democrazia nel nostro Paese.

Un tema fondamentale è l’attenzione verso le molteplici forme di povertà. Un’autentica politica popolare è riformatrice perché è in grado di riconoscere gli effetti nefasti delle diseguaglianze sociali per avviare scelte politiche capaci di attenuarli e superarli. La povertà colpisce le famiglie, i giovani, i lavoratori, i migranti, i disoccupati, l’ambiente. La politica ad ogni livello è invitata a riconoscere quello che avviene nel Paese reale che, nella maggior parte dei casi, non corrisponde alle stime di crescita del prodotto interno lordo.

Infine il popolarismo ci spinge a riflettere sui metodi di formazione e selezione della classe dirigente attiva in politica. Il buon politico è colui che ascolta e rappresenta le istanze popolari, non chi le strumentalizza. Il buon politico risponde ai bisogni dei territori e favorisce i processi di maturazione democratica, non chi è preoccupato della prossima rielezione e, dunque, esclusivamente dell’andamento dei sondaggi.

Alla luce di questi aspetti l’attualità della proposta popolare risulta fondata su basi solide rivolte, in definitiva, a far recuperare alla politica il ruolo centrale e primario che le spetta nella società.

Rocco Gumina

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