Tra abolizione, stabilizzazione e riscoperta: brevi spunti sull’insegnamento della religione cattolica

Tra abolizione, stabilizzazione e riscoperta: brevi spunti sull’insegnamento della religione cattolica

20 Giugno 2021 2 Di Rocco Gumina

Come i dibattiti sull’esistenza degli UFO, sulla reincarnazione di Che Guevara e sull’opportunità degli OGM, è tornato in voga anche quello sull’abolizione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana per via di una mozione parlamentare dell’aprile del 2019. Sarà l’inizio dell’estate afosa, sarà il desiderio di qualcuno volto a rintuzzare una certa identità fondamentalista mai del tutto superata dal nostro sistema culturale, il fatto è che ancora una volta si discute sul diritto all’esistenza di un insegnamento presente più o meno dall’unità d’Italia ad oggi. Tra iniziative parlamentari, attività di associazioni e gruppi culturali difensori della presunta e – a parer loro – autentica laicità, in questi ultimi anni si è tornato spesso a trattare di simile eventualità.

La possibilità dell’abolizione di tale insegnamento non è l’unica preoccupazione che riguarda i docenti di religione cattolica – a tempo indeterminato e non – che con professionalità contribuiscono ogni giorno al raggiungimento delle finalità della scuola così come vengono mostrate nel nostro dettato costituzionale. Infatti, migliaia di insegnanti – fra questi alcuni con esperienza ventennale o decennale – aspettano la possibilità di concorrere per una stabilizzazione lavorativa dato che nel nostro Paese, al momento, si è svolta soltanto una procedura concorsuale finalizzata all’entrata “in ruolo” di questi professionisti della scuola. Era il lontano 2004.

A tutto ciò si lega un clima, non presente ovunque ma sicuramente abbastanza diffuso, di pregiudizio che accompagna il lavoro dell’insegnante di religione tanto per via del mandato ecclesiale che riceve quanto per la formazione acquisita o per il peculiare profilo giuridico che lo riguarda. Pregiudizi che, nella maggior parte dei casi, non corrispondono a verità ovvero non reggono dinanzi ad una minimale analisi della realtà che quotidianamente si vive nelle classi di tutt’Italia. Certo è che oltre ad esserci insegnanti di religione non sempre all’altezza del loro compito, con la stessa frequenza esistono docenti di lettere, di matematica, di diritto, di storia dell’arte, di inglese, di geografia e di qualsiasi altra disciplina insegnata nel nostro ordinamento scolastico che non rispecchiano le aspettative degli allievi, delle famiglie, della comunità scolastica e dell’intera società. Così come l’insegnante di religione è un dipendente dello Stato il quale, al pari dei colleghi delle altre discipline, si muove nell’alveo delle finalità della scuola dopo aver ricevuto uno specifico mandato della comunità ecclesiale. Mandato che, pertanto, concerne esclusivamente lo sviluppo armonico e integrale della persona all’interno dei principi della costituzione italiana e della tradizione culturale europea caratterizzata dalla promozione della conoscenza nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali.

Tuttavia, di tanto in tanto simili questioni vengono riprese per avanzare l’abolizione “dell’ora di religione” a scuola senza considerare gli aspetti giuridico-costituzionali, storico-culturali e pedagogico-sociali posti a fondamento di questo insegnamento che in tanti – dai dirigenti ai colleghi, dalle famiglie ai vari rappresentanti politici – disconoscono. Quello che emerge è chiaro a tutti: siamo di fronte all’unica disciplina del nostro sistema scolastico nazionale – pensato e riconosciuto dalla costituzione – la quale è continuamente sottoposta ad esami di liceità, costituzionalità, laicità, confessionalità. Tutto ciò comporta una sfida professionale da accogliere per i tantissimi insegnanti di religione del nostro Paese ma anche un aggravio emotivo e culturale – oltre che giuridico per quanto concerne la stabilizzazione dei precari storici – non sempre sostenuto e riconosciuto.

Definiti alcuni passaggi tesi a replicare a tematiche annose e pregiudiziali che si legano all’insegnamento della religione cattolica a scuola è opportuno, adesso, svolgere una riflessione sui motivi essenziali che inducono a sottolineare, ancora una volta, quanto sia rilevante questa disciplina nel nostro sistema scolastico. Tale argomentazione trae spunto da tre termini guida che sono: storia, futuro e laicità.

L’insegnamento della religione cattolica si costituisce alla luce di un dato oggettivo che è connesso al patrimonio storico, culturale, artistico e religioso del nostro Paese che ha, per molti secoli, ritrovato nel cattolicesimo una fonte nevralgica ed essenziale per la sua crescita. Si tratta di una ricchezza da interpretare e da trasmettere alle future generazioni – come avviene per gli altri insegnamenti specie per quelli dell’area umanistica – riconosciuta dalla costituzione italiana. Il richiamo al patrimonio storico non concerne soltanto la rivalutazione critica e contestualizzata del passato bensì è un invito all’analisi e alla proposta in merito al presente e al futuro della nostra società interconnessa, plurale e globale.

In un’Italia sempre più multiculturale, un’adeguata formazione in materia religiosa risulta un imprescindibile strumento per leggere la complessità delle nostre società e per generare un dibattito pubblico in grado di rafforzare con pratiche di inclusione e di partecipazione la nostra democrazia. Oggi, potenziare la conoscenza storica e culturale del cattolicesimo, delle varie confessioni cristiane e delle religioni presenti sul nostro territorio nazionale significa sia promuovere processi di incontro, di dialogo e di integrazione sia sostenere visioni antropologiche derivanti dal dato religioso capaci di avviare e ravvivare una discussione sull’etica nelle odierne società oltre che sulla connessione vitale fra promozione umana e tutela dell’ambiente.

Queste ultime considerazioni aprono l’orizzonte alla questione della laicità. Al di là delle interpretazioni restrittive ed escludenti di talune concretizzazioni storiche della laicità, è fuor di dubbio che una matura interpretazione di simile valore porti al riconoscimento della pluralità, all’inclusione delle diversità, alla costruzione condivisa dei percorsi sociali, politici, economici e culturali nelle moderne democrazie. Se è vero che il mandato dell’insegnante di religione cattolica è caratterizzato dalla confessionalità della sua appartenenza ecclesiale è ancora più vero che la sua proposta didattica si sviluppa sempre in modalità aconfessionale poiché non è destinata soltanto a coloro che – con scelta personale – aderiscono al credo cristiano-cattolico bensì a tutti quelli che riconoscono la ricchezza educativo-formativa di simile insegnamento. Infatti, gli alunni che partecipano attivamente all’insegnamento non sono chiamati a particolari scelte religiose o culturali ma ad un percorso finalizzato alla crescita integrale della propria personalità. Dunque, nell’osservanza della facoltatività della disciplina e nel riconoscimento dell’aconfessionalità del profilo didattico dell’insegnamento della religione cattolica possiamo dichiarare che nella scuola italiana simile disciplina è posta a sostegno della laicità.

I dibattiti sull’abolizione dell’ora di religione a scuola e sulla stabilizzazione dei precari storici che insegnano questa disciplina sono un’occasione per riflettere sulla rilevanza di quest’ultima. Oltre i discorsi sterili, ideologici e propagandistici occorre uno scavo culturale, tanto ecclesiale quanto civile, per riconoscere il valore dell’insegnamento della religione cattolica – e dei docenti che la insegnano – il quale insieme alle altre discipline accompagna la crescita dei cittadini del presente e del futuro.

Rocco Gumina

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