“Una scuola a servizio di una società che incarni percorsi di autentica umanizzazione”

“Una scuola a servizio di una società che incarni percorsi di autentica umanizzazione”

7 Giugno 2018 0 Di Rocco Gumina

Tra riforma, nuove assunzioni e proteste, quest’estate per il mondo della scuola risulta essere più “calda” del solito. Per riflettere su tali temi, abbiamo intervistato Irene Collerone che – da appena un anno – è Dirigente scolastico presso il Liceo Classico “Ruggero Settimo” di Caltanissetta

 

1) Un anno al Liceo Classico “Ruggero Settimo” di Caltanissetta. Com’è andata?

– L’anno scolastico che sta per concludersi, il 31 Agosto prossimo, è stato ricchissimo di incontri ed esperienze professionali e umane che mi hanno vista impegnata in numerose attività organizzative, gestionali, di coordinamento, di indirizzo con un bilancio finale molto positivo che si basa su diversi elementi, quali  i risultati lusinghieri degli studenti agli esami di stato con la presenza anche di eccellenze, i premi individuali (per la poesia e la narrativa) e di progetto (ad esempio per il giornalino scolastico) vinti nel corso dell’anno, la conclusione positiva dell’agenda europea 2007/13, l’avvio della riqualificazione degli spazi scolastici, il sereno rapporto con gli studenti e le famiglie e tanto altro. In un continuum che solo formalmente inizia il primo Settembre, sono già in cantiere interessanti e stimolanti ulteriori progetti e piani di sviluppo per un’istituzione che desidera innovare qualitativamente i suoi servizi alla persona, mantenendo fede alla tradizione di elaborazione culturale attenta alle dinamiche del tempo della quale in oltre 150 anni si è fatta interprete e depositaria.

2) Dopo mesi di attesa, tra accese polemiche e plateali contestazioni, il 17 luglio 2015 vede la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del testo di Riforma della scuola. Prima di entrare nel merito della legge e delle sue criticità, partiamo proprio dallo slogan lanciato da Matteo Renzi lo scorso autunno, ovvero “La Buona scuola”, per chiederle cosa avesse di “cattivo” la scuola ante-Giannini?

– Che il governo abbia posto al centro dell’attenzione e del dibattito la scuola e abbia indicato con l’aggettivo “buona” l’intenzione di migliorarla, non può che essere un fatto positivo, sebbene evidenzi forti criticità il “come” si ritenga di farle attuare questo percorso di miglioramento. Che la Riforma Gelmini non abbia migliorato la scuola e le condizioni di gestione della stessa è piuttosto noto, poiché le risorse (“uomini  e mezzi”) sono state fortemente ridotte (eufemisticamente “razionalizzate”) e le intenzioni non si sono tradotte in compiuti percorsi di innalzamento della qualità: piani di formazione, sbandierati come “leva” di miglioramento, parzialmente o mai attuati; provvedimenti di reclutamento del personale frammentari e aperti ad ogni specie di contenzioso; risorse per la valorizzazione del personale e per l’ampliamento dell’offerta formativa insufficienti; tassi di dispersione al sud e nelle isole ancora insostenibili, nonostante gli investimenti Europei che hanno in parte sopperito al fabbisogno di risorse economiche per perequare le disparità presenti rispetto alle altre regioni; piani di intervento sull’edilizia scolastica che si sono limitati ad individuare carenze piuttosto che a risolverle; individuazione di strumenti sanzionatori più efficaci per migliorare la gestione del personale che hanno contribuito ad un’immagine più in negativo delle professioni di scuola e al discredito della stessa piuttosto che alla sua valorizzazione (l’epoca della caccia al fannullone!). Questi alcuni punti di criticità nella visione della scuola come si era costruita negli anni precedenti.

 

3) Nonostante si attendano i decreti attuativi che avranno l’obbligo di chiarire ancora molti punti della Riforma nonché l’attuazione delle deleghe, la legge introduce senza dubbio delle novità. Intanto il piano straordinario per l’assunzione e stabilizzazione di circa 100.000 docenti, tra vincitori e idonei (una delle novità del maxiemendamento) del concorso a cattedre del 2012 e graduatorie ad esaurimento. Quali ripercussioni pensa possa avere, sul piano sociale, economico, l’altro lato della medaglia di tale provvedimento che, per stabilizzare, prevede la migrazione interna di un gran numero di precari storici, principalmente dal Sud verso le regioni del  Nord  del Paese?

– Un piano di assunzioni così vasto e articolato che ha rappresentato per il governo il grimaldello per l’approvazione del provvedimento, non poteva che presentare forti criticità, sia nell’individuazione degli aventi diritto alla stipula del contratto a tempo indeterminato, sia alla dislocazione territoriale dei posti, per cui i docenti dovranno optare per sedi differenti dalla propria residenza pur di raggiungere l’obiettivo della stabilizzazione. D’altro canto mi pare che sotto nuove vesti si ripresenti la strategia adottata dai docenti, e non solo da loro, per ottenere un posto di lavoro fisso migrando verso altre regioni, per poi tentare un rientro nel tempo alle proprie realtà d’origine. Che si debba essere costretti a questo sembra un forte elemento di criticità, ma nello stesso tempo, nell’epoca delle comunicazioni e della mobilità più ampia e articolata che mai, (parliamo oggi di “lavoratore europeo”) deve essere pensato come elemento “strutturale” del rapporto di lavoro. Quali conseguenze questo abbia sul tessuto sociale non so dirlo; posso ipotizzare scenari molto negativi (disgregazione familiare, bourn out dei docenti…) come all’opposto scenari  molto  positivi (integrazione culturale, arricchimento professionale…); molto dipenderà dalla prospettiva di vita e dal progetto che ciascun docente ha elaborato sulla sua esperienza umana e professionale e dalla  capacità del nostro Stato sociale di offrire strumenti e mezzi per valorizzare e sostenere una sempre più ampia mobilità professionale che non mortifichi l’esigenza delle persone di mantenere sia legami familiari fondativi che realizzano oggi il vero welfare sociale, sia identità locali e nello stesso tempo globali che realizzino una cittadinanza europea per non dire planetaria, nei modi e nelle forme più arricchenti e dialoganti con i territori di vita. L’eliminazione del precariato è senz’altro un fatto positivo e che rende giustizia a tanti lavoratori, ma il rischio è la paventata creazione di un  precariato esistenziale  che non ritengo desiderabile.

4) Oggetto di discussione il crescente potere attribuito al Dirigente scolastico (che il Governo ha però ridimensionato rispetto alla proposta iniziale) al quale viene riconosciuta la facoltà di scegliere i docenti che ritiene più idonei all’offerta formativa della propria scuola, attingendo ad un albo regionale, vagliando accuratamente il curriculum del docente, sottoponendolo a colloquio. Ciononostante si può escludere il rischio di una componente discrezionale nella scelta?

– Al Dirigente scolastico  sin dall’attribuzione della qualifica dirigenziale intervenuta con il riconoscimento dell’autonomia delle Istituzioni Scolastiche nel 1999, è affidata la gestione unitaria dell’istituzione scolastica e tutte le attività concernenti il servizio scolastico e il ruolo di datore di lavoro; da ciò derivano una serie di responsabilità di diversa natura (amministrativa, penale, dirigenziale, disciplinare, negoziale..) che necessariamente individuano un profilo professionale di elevata qualità e in quanto “professionale” necessariamente deve muoversi in ambiti di discrezionalità elevata volta, tra l’altro, a risolvere problemi, a organizzare e coordinare attività, a individuare linee di sviluppo, a effettuare azioni di controllo e miglioramento, a negoziare, a valorizzare le risorse di personale. Non deve dunque scandalizzare che sia stato potenziato anche questo aspetto della gestione che era ancora troppo vincolato e che, dopotutto, incide fortemente sul “core” del servizio offerto e, cioè la qualità della  didattica e il risultato degli studenti.

E’ chiaro che a questo “potere di servizio” corrisponde una maggiorata responsabilità in merito ai risultati. Un Dirigente dello Stato resta comunque vincolato alle leggi e agli obblighi derivanti dal Codice di comportamento e deve conformare la sua condotta ai principi più nobili della buona amministrazione della cosa pubblica, per il bene comune, deve cioè essere eticamente orientato così che la discrezionalità delle sue scelte non si trasformi in arbitrio. Io ritengo inoltre che si debba dotare di “strumenti” di lavoro, anche condivisi con i corpi professionali ad esso affidati, affinché le scelte siano intellegibili, comprensibili, motivate e orientate al risultato. La sua capacità di scegliere le risorse umane, comunque ancora vincolata ad albi, precedenze, sistemi di reclutamento etc., corrisponde dunque ad un compito importantissimo: garantire che gli obiettivi del servizio scolastico, stabiliti dalla stessa comunità professionale (il Collegio dei Docenti) nel Piano dell’Offerta Formativa, siano raggiungibili, verificabili, apprezzabili dagli utenti. Del resto il Dirigente verrà valutato sui risultati ottenuti frutto di tali scelte e ha tutto l’interesse che i docenti da lui individuati esprimano le loro migliori competenze a favore degli studenti e della scuola. In questo senso il “rischio” paventato si trasforma in opportunità di migliorare la qualità del servizio di istruzione e formazione chiedendo ai docenti di mantenere sempre adeguate le proprie competenze professionali per rispondere alle sfide educative del nostro tempo e ai bisogni formativi delle giovani generazioni che rappresentano la speranza del Paese.

5) Oggi una Riforma della scuola non può esimersi dal ripensare il sistema del sapere in riferimento a un tempo e a una società così complessi. Come spiega questo “vuoto normativo” sia in riferimento alla didattica sia a precise indicazioni su cosa e come insegnar bene ai nostri ragazzi? Ciò non rappresenta un’urgenza?

– Ho affermato altre volte che questa Legge chiamata “Riforma della scuola” in realtà non ne ha le caratteristiche perché non ha affrontato i nodi cruciali del sistema: i saperi, l’innovazione   didattica, la ricerca e lo sviluppo, tutti aspetti del sistema scuola che richiedono modelli sperimentali validati sul campo. Si tratta invece, a mio avviso, di una legge di riorganizzazione del servizio scolastico che riguarda alcuni aspetti gestionali e di valorizzazione delle risorse umane e molti altri di cui non conosciamo che la cornice. E’ vero però che con l’autonomia alle scuole era stata già riconosciuta la capacità di elaborare il curricolo, di innovare la didattica sulla base di Indicazioni Nazionali che rappresentano lo scenario  culturale ed epistemologico delle discipline di insegnamento che tutte le scuole devono tenere come riferimento per garantire l’unitarietà del sistema nazionale. Le scuole hanno poco o niente praticato questa forma di autonomia, quella “didattica”, ma hanno per lo più adattato i vecchi modelli e schemi di programma al nuovo scenario culturale senza realizzare, se non parzialmente, l’auspicato cambiamento. L’esponenziale sviluppo dei saperi, la necessità di sviluppare negli studenti competenze relative al   sapere, al saper fare, al saper essere e all’apprendere ad apprendere, in un contesto culturale il cui paradigma è la complessità, la globalizzazione e la connessione attraverso le reti, non può che passare attraverso un’elaborazione culturale  che deve vedere protagonisti i diversi “attori” dell’azione educativa: i docenti il cui sapere esperto deve sollecitare la partecipazione degli allievi alla co-costruzione dei saperi; gli studenti che sollecitati a ciò si spingano sempre più avanti nei territori inesplorati attingendo alle loro conoscenze di base per costruire conoscenze più complesse e articolate cogliendo la bellezza della sfida e non solo la fatica  del lavoro di apprendimento; le famiglie che contribuiscono a sostenere questi percorsi negoziando con la scuola alleanze in continua evoluzione; il territorio che esprime interessi contestualizzati e opportunità di sperimentare l’integrazione culturale; l’intera comunità di vita che con i suoi modelli contribuisce all’opera di formazione alla cittadinanza attiva e responsabile. Mutuando il pensiero di Edgard Morin potremo pensare ad una riforma dell’insegnamento soltanto se ricorsivamente ad essa corrisponda la riforma del pensiero. La legge 170 non affronta direttamente la questione dei saperi, ma stimola alla riforma dell’insegnamento richiedendo a chi la incarna uno sviluppo intenso delle capacità di elaborare il curricolo, di preparare gli ambienti adatti all’apprendimento, di migliorare la propria formazione per sperimentare sempre più idonei modelli di insegnamento/apprendimento, di sviluppare una professionalità capace di rispondere al bisogno di integrare i saperi superando la logica dualistica del sapere umanistico versus sapere scientifico. Questa la vera sfida, far passare il corpo docente dalla logica dell’impiego (pure legittima, ma non esclusiva) alla logica della professione responsabile. L’urgenza quindi non sta tanto nel definire una “didattica di Stato” in sé stessa mortificante, contraria al principio di libertà e non orientata allo sviluppo delle competenze, ma solo alla trasmissione e ripetizione degli stessi, quanto invece offrire le opportunità ai professionisti di scuola di essere “agenti” di qualità, di miglioramento continuo, di co-costruzione di “saperi” essenziali ad una società che incarni percorsi di autentica umanizzazione.

6) Le chiederei un commento al comma 16 della legge sulla scuola che invita all’insegnamento di genere. Si sostiene la prevenzione “del fenomeno della violenza contro le donne attraverso l’informazione e la sensibilizzazione della collettività”. Favorire il rispetto delle donne partendo dalla pratica didattica in ogni ordine e grado d’istruzione.

– Desidero precisare che il comma 16 afferma che “il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole… l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni…” citando una legge precedente che aveva già affermato questi principi e richiesto interventi. Non si parla dunque di educazione di genere o di femminicidio in particolare. E’ evidente che in questa formulazione sono contenuti molti aspetti della questione generale dei diritti umani. Il tema delle pari opportunità o parità di genere, come quello della lotta a ogni discriminazione, non può che essere positivamente affermato come scenario di ogni “buona educazione” quando fa riferimento al principio etico, affermato  nella nostra Costituzione, di uguaglianza di ciascuno di fronte alla legge e nella vita sociale e civile. Altresì non viene che ribadito un altro principio fondamentale quello che è dovere della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione della persona umana in qualunque stato essa si trovi. Il problema dunque non è l’affermazione dei principi e il richiedere alle scuole di incarnarli, ma è il “come” questo compito alto deve essere interpretato e agito: ritengo che per far ciò si debba rigettare ogni forma di dittatura ideologica che  passi attraverso una “didattica di Stato” che imponga modelli e strumenti, opponendosi in tal modo all’autonomia delle istituzioni scolastiche, al ruolo fondamentale che nella Costituzione ha la famiglia in tema di scelta educativa e al contributo laico di tutte le formazioni sociali nelle quali si esplica la formazione umana e civile della persona. E’ però ineludibile il compito di educare le giovani generazioni al pieno e incondizionato rispetto della persona, dei suoi diritti e della sua integrità fisica e morale nella sua essenza maschile o femminile superando non solo le discriminazioni legate al sesso, ma tutte le altre qualora comportino la prevaricazione di alcuni ai danni di altri. Va dunque elaborato un piano triennale che tenga conto della diversità come valore e che non sviluppi i temi sopraindicati alla luce di ideologie (ad esempio del “gender” o “queer”), che vogliono invece negare le differenze e annullare il valore della complementarietà, della integrazione dell’inclusione, del rispetto, del diritto ad essere riconosciuti. Il Papa ci ricorda che l’educazione non è in sé neutra; essa può essere positiva o negativa a seconda che orienti ai valori più propriamente umani oppure al loro opposto.

7) Per concludere. Di anno in anno un maggior numero di studenti diplomati sceglie percorsi universitari tecnici escludendo sempre più gli studi umanistici. Una società  priva del sapere umanistico – critico non è destinata alla mera ricerca del profitto e alla crisi d’identità?

– L’indirizzo scientifico o l’indirizzo letterario sono percorsi di specializzazione che pure si rendono necessari per rendere un servizio alla società all’impronta del progresso umano. Il tema allora non è la specializzazione universitaria o post universitaria quanto, invece, l’integrazione dei saperi che deve essere agita nella scuola di base e secondaria e che prepari  alle specializzazioni di un sapere che comunque definirei “umanistico” perché tutto frutto del genio umano qualora orientato al progresso dell’uomo e al bene. L’unitarietà dei saperi, l’inclusione come modello didattico, la complessità e l’integrazione come paradigmi culturali, devono costruire il profilo educativo e formativo dello studente o della studentessa, in uscita dal sistema scolastico che costituisca la  base comune per tutte le specializzazioni. Non sarà difficile quindi avere al comando di un’impresa un Filosofo piuttosto che un’economista, un avvocato o un ingegnere a seconda della natura dell’impresa, a fornire un servizio sanitario con l’integrazione delle professionalità per il superamento degli handicap derivanti dalle problematiche fisiche, ad esempio un tecnico impiantista per le terapie domiciliari o un “domotico” accanto a personale assistenziale e medico per la risoluzione delle diverse problematiche e così via. Anche l’arte e le carriere artistiche debbono rappresentare specializzazioni volte al progresso sociale con forte base “umanistica”.

 

 

Intervista a cura di Rocco Gumina 

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