
Cattolici e politica: ripartire dai fondamentali
Raramente un’omelia ha fatto discutere quanto quella pronunciata dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, in occasione della celebrazione dei funerali di Silvio Berlusconi. Giornalisti di ogni sensibilità politica, personalità accademiche e pubbliche, credenti “adulti” e teologi progressisti si sono scatenati – specie sui social – alla ricerca della migliore interpretazione delle parole di Delpini apparse per alcuni geniali per molti altri inopportune. Risulta inutile entrare in questo dibattito che oltre ad aver esaurito la sua funzione è parso come un ennesimo palcoscenico sul quale dividersi a favore o contro la personalità e l’opera di Berlusconi. Quest’ultimo, piaccia o meno, fa parte della storia nazionale italiana e in un modo o in un altro nei prossimi anni saremo chiamati a discernere, valutare e ove necessario superare il lascito culturale, economico e politico del berlusconismo nel nostro Paese. Berlusconismo che va ben oltre la singola personalità del fondatore di Forza Italia e si annida – in ogni dove e con svariati protagonisti – all’interno del sistema Italia. D’altronde, la celebrazione dei funerali di Berlusconi non sembrava il momento opportuno per consumare quel redde rationem che il Paese intero ha sempre rinviato (Forza Italia alle ultime politiche ha raggiunto quasi il 9% dei voti) e, pertanto, non si capisce perché molti hanno attribuito a Delpini la responsabilità di farlo. Inoltre occorre rammendare che la missione della Chiesa, di cui Delpini fa parte come pastore di una delle più grandi diocesi al mondo, non coincide con il giustizialismo da tastiera o da avanspettacolo bensì con qualcosa di più profondo e complesso.
Tuttavia il dibattito sulle parole di Delpini ha evidenziato, fra le diverse questioni, anche quella grossolana carenza connessa alla superficialità con la quale nel nostro Paese si discute di cattolicesimo e politica. Superficialità dovuta essenzialmente sia al diffuso analfabetismo religioso e biblico sia alla generale mancanza di un serio, duraturo e contemporaneo percorso di cattolici in politica. Forse alcune coordinate generali possono tornare utili per ricomprendere l’importanza della questione e per riannodare le fila in vista di una formazione capace di generare uomini e donne tanto rispettosi delle istituzioni e della moralità pubblica quanto protagonisti di un progetto politico a lunga scadenza.
Prima di essere un tema partitico, sociale, culturale, quello fra cattolici e politica è un argomento ecclesiale perché l’ispirazione che muove il credente ad operare per il bene comune proviene dall’annuncio evangelico e dal comandamento dell’amore. Ciò spinge la Chiesa ad occuparsi di quella che per papa Francesco è la politica con la P maiuscola cioè un’opera finalizzata non agli interessi di parte ma al bene di tutti. Allora lo sfondo dal quale i cristiani interpretano la politica non riguarda in un primo momento la semplice amministrazione del potere, la ricerca del consenso o la capacità di risposte rapide a problemi urgenti bensì concerne la prospettiva di un’etica del limite della politica e della centralità dell’uomo. L’interpretazione cristiana, infatti, propone un’istanza critica – per nulla accomodante – che mira alla giustizia attraverso uno sguardo “messianico” teso non a individuare il peccato o l’errore dell’altro ma a sostenere e accompagnare i sofferenti, gli esclusi.
Nella Bibbia, la giustizia in primo luogo non riguarda aspetti politici o economici ma concerne la responsabilità che Dio ha nei confronti degli uomini e che questi hanno riguardo i fragili, i miseri, gli esclusi. Da questa visione viene fuori un modo di intendere la politica come mezzo a favore degli uomini. Di conseguenza la Chiesa prima di identificarsi con un’agenzia morale va intesa come un soggetto propagatore di speranza nonostante le difficoltà annesse alla storia e alle miserie degli uomini.
Dopo la fine della Democrazia Cristiana, i cattolici italiani impegnati in politica hanno avviato una fase di ripensamento che ha portato da un lato alla paralisi e dall’altro alla presenza di credenti in quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale. Questa situazione, da molti definita di irrilevanza, va discussa e affrontata. Negli anni passati, varie volte si è avanzata l’ipotesi di ricostituire un soggetto partitico cristianamente ispirato per tornare a dare rilevanza all’impegno dei cattolici. Probabilmente prima di strutturare partiti, correnti e lobby cattoliche urge tornare ad abitare la politica da credenti attraverso un’elaborazione culturale fondata su di una visione cristiana libera dalla nostalgia della cristianità sacrale e con l’intenzione di animare la società attraverso la ragionevolezza critica e il desiderio di avviare processi più che di possedere spazi. Questo sembra il gravoso compito a cui sono chiamati i credenti in Italia i quali, dal dopoguerra in poi, sono stati protagonisti al pari di tutti gli altri cittadini della crescita, delle cadute e delle miserie della nostra nazione. In questa logica non c’è spazio per le tardive e inutili rese dei conti ma soltanto per impegnarsi affinché si possa realmente cambiare paradigma.
Rocco Gumina
Non sono favorevole a un nuovo partito di cattolici invece favorevole a una ricerca per il bene comune oggi