Diversità ed uguaglianza: i diritti del migrante. Una riflessione di Piero Antonio Carnemolla

Diversità ed uguaglianza: i diritti del migrante. Una riflessione di Piero Antonio Carnemolla

31 Ottobre 2023 0 Di Rocco Gumina

La diversità è un attributo unico di ogni persona ed è una qualità che esclude qualsiasi limitazione di spazio e di tempo. É un modo di vivere nella società che non può più essere considerata limitata in precise zone geografiche ma, per tutti quei motivi che sottendono e reggono la globalizzazione, deve essere considerata “universale”. Non ha confini essendo talmente vasta da comprendere etnie e popoli che vivono nella nostra terra. In passato una tale forma di società si era formata sebbene limitata alle terre conosciute. Si pensi all’impero romano che raggruppava tutte le nazioni su cui si estendeva il suo dominio e che venivano regolate grazie a uno speciale diritto denominato ius gentium. Era una legislazione che riconosceva la diversità e tutelava l’ordine pubblico con una adeguata normativa.

Paolo, ebreo di Tarso di Cilicia, era cittadino romano sin dalla nascita ed è lo stesso apostolo a farlo presente al governatore Porcio Festo il quale per competenza dispose il trasferimento della causa al tribunale di Roma. L’istanza di Paolo era stata accolta e il governatore romano non potè che osservare la legge. Oggi ancora discutiamo se bisogna riconoscere lo ius soli   a coloro che ne avrebbero diritto per nascita e secondo una normativa inclusiva.

Se il riconoscimento dello ius soli è stato accantonato – il non decidere su una questione di quella portata è come mettere la testa sotto la sabbia – con una problematica non del tutto nuova si è presentata con numerose sbarchi, sia per numero che per persone, il fenomeno migratorio che invano si tenta di impedire, arginare e addirittura sconfiggere Sono tutti tentativi che intendono  impedire l’arrivo nella nostra Sicilia  di  tanti nostri fratelli persino umiliati  nella loro disperazione. Il fenomeno migratorio, diventato ingestibile, ha costretto i nostri governanti, e nell’immediatezza della situazione, ad emanare un decreto contenente precise condizioni e molte limitazioni nella speranza che il problema si sarebbe risolto o, quantomeno, diventasse sopportabile. Abituati a stampare provvedimenti d’urgenza la cui efficacia è immediata, il nostro legislatore ha dimostrato tutta l’insipienza, o meglio stoltezza, nel volere imporre una normativa assolutamente illegittima perché in contrasto con il dettato della nostra Carta Costituzionale e con le norme dell’Unione Europea. Poiché l’Italia ne fa parte il suo diritto non può contrastare con quello europeo e ad esso conformarsi.

A seguito di un ricorso presentato da un emigrante per ottenere il riconoscimento di protezione internazionale e, nell’attesa, rinchiuso nel Centro di Permanenza e Rimpatrio di Pozzallo (CPR), la giudice Iolanda Apostolico ha accolto l’istanza in tal modo cancellando alcune norme, quelle più restrittive e financo odiose, previste dal decreto “Cutro”. Per meglio comprendere la decisione della giudice catanese, è bene ricordare che per ottenere la protezione internazionale, lo straniero deve provare di provenire da un paese sicuro ed essere in possesso di un passaporto o altro documento equipollente. Per ultimo, per effetto del decreto del 14 settembre, il richiedente asilo, onde evitare di attendere in un vero e proprio stato di detenzione – tale è la permanenza nei CPR – deve prestare “garanzia finanziaria”, consistente in una somma che deve essere versata in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa. Altro limite: non può essere versata da terzi (ovvero da parenti o amici) oltre ad essere onorata in tempi molto ristretti, ovvero prima che vengano completate le procedure di riconoscimento. Una volta presentata la “garanzia” e nel momento in cui la persona si allontanasse «indebitamente», cioè facesse perdere le sue tracce, la cauzione verrebbe trattenuta. Il pagamento della somma di € 4.978, come recita il DM 14-2-2023, evita allo straniero lo stato di detenzione.

Nell’aver adottato quest’ultima limitazione il nostro legislatore riteneva che lo straniero fosse un agiato turista e non lo sventurato emigrante che per sfuggire alla povertà, alla fame e alle persecuzioni, a rischio della propria vita è alfine riuscito a mettere piede nell’Isola di Lampedusa. Ma dopo aver subito “le pene dell’inferno”, – così, noi siciliani definiamo lo stato penoso di uno sventurato – si trova dinanzi ad assolvere ad alcune condizioni assurde e anche ripugnanti e insopportabili  imposte dal Paese che lo dovrebbe ospitare e proteggere.

L’amara conclusione è che si vuole criminalizzare un comportamento che nasce dall’istinto innato della sopravvivenza: una tale disumanità non può che nascere da grettezza e malvagità.

La magistratura italiana, investita della questione, ha emesso provvedimenti che hanno annullato le illegittime detenzioni nei CPR. Le sentenze di annullamento si susseguono e le motivazioni addotte sono pressoché identiche e tutte concordano nel richiamare sia le norme dell’Unione Europea che della nostra Carta Costituzionale. L’accertato contrasto di alcune norme della legge italiana con quella europea è alla base della criticata sentenza. In particolare sono state disattese la direttiva 2008/115/CE e la 2013/33/UE che regolano, rispettivamente, le procedure di soggiorno e quelle relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. In merito alla garanzia finanziaria, se la medesima è contemplata dall’art. 8 c.4.direttiva 2013/33, tuttavia, come ha chiarirò la giudice Apostolico, la modalità di prestazione della garanzia finanziaria fissata dal Decretò Ministeriale del 14-2-2023 non è compatibile con gli artt. 8 e 9 della direttiva 2013/33, così come è stata interpretata dalla Corte UE. Inoltre La sentenza del magistrato di Catania ha sottolineato che «il trattenimento è una misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex art. 13 della Costituzione, Ha ricordato anche al legislatore svogliato che quel provvedimento contrasta con l’art. 10 c.3 Cost». Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana «ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Basterebbe solo questo riferimento per spegnere schiamazzi incontrollati e fin troppo istintivi.  E’ da ricordare che sia nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani ONU, in vigore sin dal 1948, che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000, in alcun articoli riportano quasi alla lettera  quel che in tema di diritti riconosce la nostra Costituzione. Così, nel primo documento, l’art 3 stabilisce che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona e l’art.6 :«Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica». Ancora in maniera categorica l’art.7 :«Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione» e nel secondo, all’art 1 sancisce che «la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata» e all’art. 2  “Ogni individuo ha diritto alla vita”. Malgrado la chiarezza della sopracitata normativa la Corte Costituzionale più volte è intervenuta stabilendo che il testuale riferimento dell’art. 3 della Costituzione ai soli cittadini non esclude che «l’eguaglianza davanti alla legge sia garantita agli stessi stranieri, là dove si tratti di assicurare la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo» qual è appunto il «diritto alla vita», che è specificatamente protetto, in sede penale, dall’art. 27, quarto comma della Cost. (sentenza n. 46 del 1977). Ma già nel lontano 1969, con la sentenza n.104, aveva affermato che“«il principio di eguaglianza, pur essendo nell’art. 3 della Costituzione riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorchè́ si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, garantiti allo straniero anche in conformità̀ dell’ordinamento internazionale».

Si impongono alcune brevi riflessioni.

L’emigrante è una persona “marginalizzata”, confinata in questo speciale status che trova origine da ragioni di odine culturale, sociale, giuridico e religioso. E’ una condizione che lo ferisce condannandolo alla ricerca affannosa, il più delle volte vana, di una condizione di vita veramente umana. Se è diverso per colore della pelle, per provenienza geografica, per usi e costumi propri della sua terra d’origine, per religione, questi sono motivi che non lo escludono dal godere dei diritti innati: quello alla sopravvivenza e alla felicità, quest’ultimo diritto inteso ad avere una famiglia, un lavoro, un’abitazione, una protezione sanitaria, un luogo dove pregare. Sono diversi dall’italiano, dall’europeo, ma ad essi uguali di fronte alla legge. La diversità non esclude l’eguaglianza ed entrambe le categorie sono connesse ed inseparabili.

La qualifica “clandestino”, affibbiata allo straniero, è stata utilizzata da diversi politici e così, al seguito, anche da una buona percentuale di italiani professantisi cristiani, cattolici apostolici e romani. L’uso di questa specifica terminologia nasconde sentimenti di inconfessato razzismo perché ad alcuni gruppi umani si imputano caratteristiche culturali e di costume incompatibili con le proprie. Conseguentemente bisogna evitarli e costringerli a vivere in segregazione.

E’ il caso di ricordare una recente sentenza della Corte di Cassazione –la n. 24686 del 16-8-2023 – relativa ad una controversia su ricorso presentato da varie associazioni contro la Lega Nord e il Sindaco di Saronno per l’affissione di ben 70 cartelli recanti lo scritto: «Saronno non vuole i clandestini. Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno  32 clandestini : vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse…». La Corte, nel motivare  la propria decisione di condanna, ha  con estrema finezza osservato  che dal punto di vista lessicale il termine “clandestino” riferito a un soggetto che ha titolo   a richiedere la protezione internazionale, ha un valenza denigratoria  e viene utilizzato come emblema di negatività. Basta questo ammonimento?

Una buona parte degli italiani ritengono che bisogna difendere la propria razza– ma esiste la razza? – e quindi impedire con ogni mezzo qualsiasi spuria contaminazione. Nella nostra Sicilia la giudice Iolanda Apostolico ha liberato, con una sentenza ricca di riferimenti e rinvii sia di diritto che giurisprudenziali, un emigrante che era stato rinchiuso nel CPR di Pozzallo. Il provvedimento ha suscitato l’ira di gruppi di fanatici ricorrendo anche a volgarità che qualificano gli emittenti. Dal mondo cattolico si è sentita soltanto la voce di un vescovo, quello di Catania, il cui coraggio e umanità onorano il suo ministero.” Sono orgoglioso che la sentenza che h disapplicato il decreto Cutro”, ha detto mons. Luigi Renna, “sia stato pronunciato dal tribunale di Catania”. Ma dove stanno tutti gli altri che si definiscono cristiani praticanti e tutti quei cittadini che non hanno aperto bocca all’allestimento e al funzionamento di un CPR a Pozzallo, e che anche si gloriano e si vantano di aver dato i natali a Giorgio La Pira?

Dove sta quella brillantezza che dovrebbe sorgere dalle loro opere?

Anche ai tempi di S. Paolo doveva esserci una situazione priva di slancio caritativo se, rivolgendosi ai Galati, l’apostolo così li riprendeva: « Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato  con lo Spirito, ora volete finire con la carne?».(Gal 3,3).

Piero Antonio Carnemolla

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