E se tornassimo a testimoniare? Il contributo dei cattolici nella crisi delle istituzioni

E se tornassimo a testimoniare? Il contributo dei cattolici nella crisi delle istituzioni

23 Agosto 2022 1 Di Rocco Gumina

(Le imminenti, e improvvise, elezioni politiche hanno riavviato una serie di riflessioni sull’impegno dei cattolici italiani in politica. In questi giorni, in un modo o in un altro, alcuni quotidiani nazionali, diverse personalità rilevanti del mondo cattolico e dell’episcopato italiano affrontano il tema ora con speranza e apertura al futuro ora con pessimismo e polemicità. Mi pare di percepire, come sostiene da tempo il teologo siciliano don Massimo Naro, che il vero problema del cattolicesimo italiano non sia connesso ai numeri cioè al fatto di essere divenuti minoranza nel Paese; bensì di non riuscire ad incidere culturalmente, socialmente e politicamente. Nei fatti, più che di minoranza dovremmo parlare di minorità qualitativa del cattolicesimo italiano. Ed è per questo che urge, adesso, un investimento culturale ed educativo da parte di tutta la comunità ecclesiale che possa tramutarsi in qualità sul campo politico e sociale al fine di essere sale della terra e luce del mondo. In questo contesto, torno a segnalare un mio contributo sul tema apparso sul numero 9 del 2020 della rivista Nipoti di Maritain).

Fra le più rilevanti conseguenze del cambiamento d’epoca in atto, possiamo registrare la crisi delle istituzioni tanto su scala internazionale quanto sullo scenario locale. Se è vero che ogni organizzazione umana segue il perenne divenire dello sviluppo sociale e culturale, è ancora più certo che l’era della globalizzazione ha accelerato tale dinamismo tanto da ridurre l’opera degli organismi istituzionali a enti capaci solo di constatare i mutamenti avvenuti altrove.

Ad indebolire ulteriormente il valore simbolico e l’efficacia reale delle istituzioni possiamo ricordare, in nazioni come la nostra, la profonda crisi economica che colpisce sia i giovani sia le famiglie e produce disoccupazione, denatalità, aumento dei NEET, crescita della povertà assoluta e degli abbandoni scolastici, sottosviluppo del Mezzogiorno e l’esodo di migliaia di laureati verso altri Paesi. In primo luogo, tali fattori spingono i singoli cittadini ad una radicale sfiducia nei confronti di tutto ciò che è comunità, in seconda battuta, alimentano il disincanto e le pulsioni antidemocratiche.[1]

Se, nella nostra epoca, tutto è divenuto problematico anche perché le istituzioni hanno perso il ruolo che avevano nel passato, pare profilarsi il tempo per un’azione volta a risignificare il valore simbolico delle comunità e degli enti chiamati a sostenerla. Infatti il nostro tempo, prima di una riforma dal tono esclusivamente giuridico delle istituzioni, abbisogna di una riflessione culturale sui motivi simbolico-essenziali che sostengono lo stare insieme. Uno sforzo del genere potrà portare frutto solo se tutti gli attori della comunità daranno un contributo. Fra questi, i cattolici.  

Dall’unità d’Italia in poi, nel nostro Paese il ruolo del cattolicesimo sociale e politico ha vissuto alterne, ma sempre importanti, vicende. In Italia, dal Non expedit alla Democrazia Cristiana, i credenti – alla luce della loro visione del mondo radicata in Cristo Gesù – hanno generato cultura e azione in grado di sostenere e sviluppare l’intera comunità nazionale. Nell’evitare di percorrere piste già battute e ormai fuori dalla portata della storia – oltre che nel rifuggire dal tentativo di cristianizzare direttamente o implicitamente la società – i cristiani, al pari di tutti gli altri cittadini italiani, sono invitati a dare un contributo culturale, sociale e politico al fine di riformare le istituzioni adeguandole, così, al cambiamento d’epoca in atto.

Quale messaggio nella società del nostro tempo, e per le istituzioni politiche e sociali, può offrire il cristianesimo? Quali contenuti simbolici, nel rispetto dell’aconfessionalità dello Stato, può proporre al fine di sostenere la comunità?

L’immagine del Dio di Gesù Cristo, del Signore della vita divenuto uomo come noi, invita anzitutto a prendersi cura delle persone portartici di storie e di volti – per dirla con Italo Mancini – da guardare, da rispettare, da accarezzare.[2] Il valore della centralità della persona all’interno della società conduce alla promozione di politiche, e di relative istituzioni, capaci di tutelare le fragilità, di sostenere le pratiche associative, di accogliere le diversità, di riconoscere il limite della stessa opera politica. Si tratta, allora, di provare a ridare ragioni e simboli alla politica decaduta per via di semplificazioni e paure esasperate.

La politica a qualsiasi livello, incluso quello istituzionale, necessita di capacità progettuale e quindi di visione. Il cattolicesimo può contribuire alla formulazione di un pensiero lungo e profondo per la società non finalizzato alla riconquista del potere o alla sacralizzazione delle istituzioni ma per favorire una vera e propria rivoluzione interiore in grado di riavvicinare la politica alle attese dei cittadini.[3] Per i cattolici, il cambiamento interiore e la promozione di nuovi modelli di partecipazione alla vita delle città e del Paese sono generati non tanto da una strumentalizzazione della spiritualità per fini politici quanto dalla libera testimonianza carica di attrattività destinata ad innescare processi comunitari e rinnovati stili.[4]

Così, nella società odierna e per le istituzioni del nostro tempo, i discepoli del Cristo non possono restare spettatori della decadenza in atto bensì sono chiamati a divenire, alla luce delle proprie peculiarità, protagonisti attivi del rinnovamento sociale e politico. Solo in tal modo, i credenti possono realizzare nella storia la chiamata ad essere sale della terra, luce del mondo, seme e lievito di rinnovamento. Tutto ciò, per Giorgio La Pira, significa che i cristiani nel mondo hanno una: «missione trasformante da compiere […] che per opera del nostro sacrificio amoroso […] dobbiamo mutare le strutture di questo mondo per renderle al massimo adeguate a Dio».[5]

Alla luce di tale consapevolezza, nella comunità umana iper-connessa, tecnologica e globalizzata ma, allo stesso tempo, impaurita, disgregata e sfiduciata, il ruolo del cristianesimo – testimoniato tanto dai singoli quanto dai gruppi associati – può essere quello di sostenere un’autentica “spiritualità” civica. Quest’ultima – generata da un approccio aconfessionale e fondata su di un’etica del bene comune e della tutela delle diversità – deve trovare le vie culturali, politiche e sociali per mobilitare le energie profonde del nostro popolo al fine di indirizzarle verso uno sviluppo della nostra democrazia e delle relative istituzioni pubbliche.[6]

Dunque, la testimonianza cristiana può favorire processi finalizzati a sviluppare quella consapevolezza politica e civica che i singoli cittadini radunati in popolo devono ritrovare. In tal modo, il contributo del cattolicesimo italiano, insieme a quello di tutti gli altri, potrà inaugurare una nuova stagione generativa di visioni, contenuti, simboli e percorsi destinata tanto a risignificare il valore delle istituzioni quanto ad avvicinarle ai cittadini.

Rocco Gumina


[1] Sulla situazione economico-sociale della nostra nazione, si vedano il 27° rapporto annuale dell’ISTAT e la 53ͣ relazione elaborata dal CENSIS. 

[2] Cfr. I. Mancini, Tornino i volti, Marietti, Genova 1999.

[3] Sulla questione, segnalo un’interessante intervista a Ol’ga Sedakova, Io spero nella rivoluzione interiore, La nuova Europa, 31 dicembre 2019.

[4] Rimando a M. Borghesi, La fede non vive di potere, ma solo di testimonianza, Il Sussidiario, 11 settembre 2019.

[5] G. La Pira, La nostra vocazione sociale, AVE, Roma 2004, p. 41.

[6] Per approfondire invito a rileggere G. Dossetti, I valori della Costituzione, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2005.

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