“I cristiani, con la loro vita, superano le leggi”

“I cristiani, con la loro vita, superano le leggi”

10 Marzo 2020 0 Di Rocco Gumina

La sospensione delle celebrazioni liturgiche, come di qualsiasi altro rito religioso, è un dato di fatto. La situazione che attraversa il nostro Paese spinge tutti quanti a rinunce anche importanti e dolorose. Così, per i credenti, si apre un periodo di preghiera e di riflessione – non alimentato dalla partecipazione alla liturgia – ma possibilmente capace di avviare un percorso di crescita e di conversione ugualmente significativo.

Che non si tratti di timbrare il cartellino ogni domenica è più o meno chiaro a tutti. Così come non è solo questione di adempiere un atto di precetto dal quale magari venire dispensati oppure di seguire su questo o su quel social la messa in streaming. Non è questo il punto. La questione, infatti, è di altra natura come affermarono bene i martiri di Abitene del IV secolo d. C. per i quali i cristiani “non possono vivere senza celebrare il giorno del Signore”.

A molti secoli di distanza, il nemico da fronteggiare non è più l’autorità politica tesa ad eliminare anche fisicamente i cristiani per via dell’odio alla fede, bensì si tratta di contrastare qualcosa di più subdolo – un virus – che, stavolta, non riguarda soltanto i credenti ma l’intera comunità. Sebbene i contesti siano radicalmente diversi, i cristiani – oggi come ieri – vivono nella ferma convinzione che senza celebrare il giorno del Signore è impossibile vivere. Ma, nel XXI secolo, la restrizione non è dovuta alla ferma volontà di eliminare il cristianesimo bensì all’urgente necessità di salvare vite umane. Per far ciò, anche i credenti sono chiamati a dare il loro contributo in termini di rinunce e a celebrare in modo “straordinario” il giorno del Signore.

In cosa potrebbe consistere tale “straordinarietà”? Una possibile risposta è delineata molto bene dall’anonimo autore dello scritto A Diogneto, risalente al II secolo d. C., per il quale i discepoli del Cristo “obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi”. Così la “straordinarietà” risiederebbe nella capacità dei credenti non solo di mantenere un rilevante senso civico personale a costo di dolorosissime rinunce, ma anche di generare occasioni di promozione di tutti quegli atteggiamenti, quelle prassi, quegli accorgimenti utili a generare condizioni volte, nel nostro caso, a salvare vite umane. Insomma si tratta di testimoniare, per riprendere lo scritto A Diogneto, un metodo di vita sociale mirabile e paradossale poiché il credente prende decisamente sul serio la cittadinanza di questo mondo poiché, l’esito di questa, si lega a filo doppio a ciò che non appartiene a questo mondo: la patria futura.

In concreto, tale “straordinarietà” è già vissuta in molti modi su tutto il territorio nazionale. Penso all’impegno della Comunità di Sant’Egidio in Sicilia per distribuire agli anziani e ai poveri flaconcini di gel igienizzante; penso a chi in questi giorni prende sul serio quanto affermava, ormai qualche anno fa, il mistico italiano Divo Barsotti per il quale la preghiera – anche quella personale – è l’atto in assoluto più concreto e operativo che il credente possa fare; mi riferisco ancora a quanti, come singoli o gruppi più o meno organizzati, nel pieno rispetto delle norme vigenti continuano ad assicurare vicinanza umana e materiale a coloro che sono in stato di necessità.

Probabilmente, la straordinaria situazione che viviamo nel nostro Paese potrebbe invitare i credenti a ritessere le fila fra la liturgia domenicale – che per adesso viene impedita – e la liturgia della vita. Di certo non si tratta di una deriva antropologica e sociologica della fede in Cristo Gesù bensì di rivalutare, in questo tempo che è comunque di grazia, il fatto che le nostre quotidiane e ordinarie vite, e quindi tutti i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere e le nostre scelte, sono intimamente connesse alla liturgia. Così persino, o forse soprattutto, in un periodo di privazione come il nostro possiamo ascoltare e intendere la Parola del Dio biblico che invita, anche il cattolicesimo italiano, ad evitare fratture fra il rito e la vita, fra l’altare e la piazza, tra le parole umane e quelle divine.

Allora questa emergenza nazionale e globale, con le conseguenti privazioni che i cristiani sono chiamati a sopportare, può configurarsi persino come un tempo fecondo per rivalutare la nostra “vecchia” prassi magari un po’ rituale al fine di convertirci ancora di più, e incessantemente, ad un cristianesimo che reputa indispensabile tanto la liturgia del rito quanto quella della vita.

 

Rocco Gumina

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