La spremuta. Distinguere per capire

La spremuta. Distinguere per capire

9 Giugno 2018 0 Di Rocco Gumina

(Di seguito la recensione di Giuseppe Giugno al volume di Rocco Gumina “La spremuta. Distinguere per capire” (Lussografica, Caltanissetta 2017).

Il volume di Rocco Gumina “La spremuta. Distinguere per capire” vuol proporsi per il lettore come valido itinerario di formazione ed informazione su tematiche afferenti a questioni proprie di questo “nostro” tempo. Il testo come evidenziato nel suo stesso titolo, “La spremuta”, rimanda in un certo senso all’essenza che sta dietro tutto ciò che circonda l’uomo d’oggi: l’essenza del visibile e quella del sensibile. Determinante nella comprensione delle intenzioni legate alla genesi di quest’opera è il sottotitolo che l’autore ci propone: “Distinguere per capire”. Un sottotitolo che suggerisce nella sua stessa formulazione l’idea che soggiace all’organizzazione generale del volume nella sua triplice articolazione su tematiche di ordine politico, culturale ed economico. Si tratta di ambiti attraverso i quali esaminare e leggere la società civile di ogni tempo. Occorre evidenziare che l’intento dell’autore non è quello di proporre una lettura ragionata e sistematica delle questioni afferenti ai principali temi di attualità fine a sé stessa, come fosse esercizio di sterile erudizione, ma proiettare il lettore verso la necessità di “comprendere” radicalmente e strutturalmente la natura eziologica delle problematiche affrontate nel lavoro.

La comprensione del reale in un mondo sempre più virtuale e ancorato a legami profondamente disconnessi dallo spazio e dal tempo rappresenta indubbiamente un’ardua sfida da intraprendere per tornare a pensare la città – e la “città affidabile” – come ricorda l’autore in una delle sue pagine del libro. Alla radice di questo bisogno di comprensione occorre indubbiamente porre la consapevolezza del ruolo esercitato dalla formazione nello spazio e nel tempo degli uomini. Per tale ragione l’opera vuol presentarsi come strumento per comprendere, attraverso la disamina di questioni, solo apparentemente eterogenee e disconnesse le une dalle altre, l’identità più profonda del tempo presente.

L’intero testo viene proposto sotto la formula del libro intervista. Si tratta indubbiamente di una soluzione che facilita al lettore la consultazione dell’opera, consentendogli di individuare in tal modo questioni e problematiche che sottendono a ciascuna delle argomentazioni e analisi proposte. La triade tematica, raccolta con sapiente discernimento e dovizia di particolari, offre l’immagine di un vero e proprio “spaccato” della società civile odierna, attraverso il quale calarsi idealmente in ciascuna delle problematiche e realtà presentate per leggerne e comprenderne i contorni e i tratti caratterizzanti. Si tratta di una triplice partizione animata da un indirizzo certo, ravvisabile nella volontà di “comprendere” come approdare alla costruzione di una “città affidabile”. Per tale ragione, la finalità che fa da sfondo al tessuto generale del volume può essere individuata nell’idea di una “città nuova”, capace di rivedere e ripensare criticamente sé stessa attraverso diversi strumenti, tra questi la cultura. A tal proposito, come ben evidenzia l’autore nelle sue pagine, assume particolare rilievo nel “cantiere della città” il valore sociale rivestito dalla misericordia, da intendersi come l’esplicarsi attraverso l’adozione e l’attuazione del principio di sussidiarietà di tutte quelle azioni necessarie finalizzate alla ricerca del bene comune. È un principio fondamentale che implica la costruzione di una società “solidale” e in armonia con lo stato, nella quale i cittadini condividono spazi di cooperazione legati al conseguimento di obiettivi comuni. In tale contesto, la democrazia diviene il campo nella quale opera quella che l’autore chiama la “declinazione sociale della misericordia”. La formula esposta è in perfetta linea con il magistero della chiesa come suggerisce il riferimento alla Quadragesimo anno di Pio XI:

L’oggetto di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.

Tale definizione proietta il lettore alla relazione tra sussidiarietà e politica, con particolare riferimento al compito che quest’ultima deve compiere per attuare il suo pieno riordino e ripensamento – come scrive l’autore – alla luce del valore della sussidiarietà. In tale relazione assume, altresì, rilevanza il ruolo esercitato dai cristiani in politica, per i quali la chiamata all’azione “civica” si prefigura come onere non demandabile ad altri. La custodia del creato, secondo la nota accezione genesiaca del lavoro, rappresenta peraltro la missione che interpella l’uomo nel suo spazio e nel suo tempo. Si tratta di un compito che può essere esplicato attraverso la formazione e l’animazione culturale o mediante la partecipazione diretta al governo della polis. In ogni caso l’impegno del cristiano nell’azione amministrativa, nella partecipazione ai processi decisionali e nella costruzione della “città nuova”, oltre ad essere determinante per consentire alla politica di riappropriarsi della sua dimensione di “strumento di carità”, secondo la nota accezione montiniana, ha anche relazioni con il ripensamento dell’idea stessa di lavoro “libero, partecipativo, solidale e creativo”.

Nella costruzione della “città affidabile” assume indiscutibile rilevanza, come suggerito dalle riflessioni raccolte nel volume, il rapporto tra chiesa e società civile. È molto utile, a tal proposito, leggere le pagine relative all’autocomprensione della chiesa come “famiglia” nel suo tentativo di integrarsi nell’oggi della storia. La chiesa per far parte della società deve tornare, in altre parole, ad essere luogo di vita, cellula e tessera nel tempo e nello spazio degli uomini.

Tale ripensamento proietta il lettore alla relazione della chiesa con la cultura. Una cultura, in particolare quella italiana, profondamente cristiana nelle sue matrici generative, che rischia però di smarrire definitivamente sé stessa e di non riconoscersi più per quello che è nel suo intimo, se non ritorna al Vangelo. Le riflessioni suggerite dall’autore trovano conferma nel pensiero di Giovanni Paolo II, il quale ha già più volte ribadito la necessità che “la fede diventi cultura”. È sempre lo stesso pontefice ad aggiungere che:

“una fede che non diventa cultura non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”.

Particolarmente illuminante è il discorso tenuta da Wojtyla all’Ateneo di Bologna nel 1982 in cui si afferma che “la Chiesa ha bisogno dell’università, perché la fede possa incarnarsi e divenire cultura”. Il rapporto tra fede e cultura, proiettato su un piano universale, viene anche illustrato nel libro intervista “Memoria e Identità. Conversazioni a cavallo dei millenni” nel quale il pontefice afferma che la cultura cristiana esiste non soltanto nella società e nelle nazioni cristiane, ma si è fatta presente anche nella cultura dell’intera umanità. In qualche modo, dunque, la cultura cristiana ha trasformato tutta la cultura e per tale motivo occorre spendersi per ritrovare nella cultura i semi del vangelo così da ricomprenderne i contenuti nella loro profondità. Lo stesso concetto viene ribadito da Benedetto XVI laddove descrive il cristianesimo come religione del Logos, amica della ragione. La fede può, in sintesi, inculturarsi perché in fondo essa non si indentifica con nessuna cultura in particolare.

Il ripensamento della chiesa nella società del tempo attuale pone la questione del ripensamento della fede attraverso la categoria sociale della cultura come formula per restituire dignità e solidità all’identità. Si assiste, infatti, sempre più diffusamente al dilagare di una analfabetizzazione diffusa determinata dalla dittatura dell’opinione, come affermato anche nell’intervista al prof. Calogero Caltagirone. Quanto detto viene affrontato dal sociologo Zygmunt Bauman nella riflessione relativa alla società della modernità liquida, nella quale si evidenzia che all’etèronomica determinazione della condizione sociale viene oggi opposta una compulsiva e obbligatoria autodeterminazione dell’uomo.

Ma il denominatore comune alle riflessioni e questioni raccolte nel volume dall’autore può certamente essere individuato nella necessità di tornare a formare e a pensare la formazione dei giovani e delle categorie sociali più deboli. Una formazione che deve tradursi, innanzitutto, in educazione alla legalità per alimentare la lotta alla mafia. Sembra molto utile, a tal proposito, in una delle interviste del libro il rimando allo psicanalista Massimo Recalcati nel riferimento alla sua affermazione circa l’esistenza di un’erotica dell’insegnamento e alla sua utilità per trasformare in positivo la relazione docente/allievo. Il rimando allo studio fa anche riflettere sulla necessità di concepire parimenti un’erotica dell’apprendimento per studio e ricerca, da intendere come passione e consapevolezza interiore, attraverso le quali alimentare il cantiere della crescita culturale dell’individuo. Rispetto a questo occorre sottolineare, come emerge dal libro, le numerose problematiche ed insufficienze registrate nel mondo della scuola rispetto all’efficacia della sua azione sulla formazione dei giovani.

Desta, altresì, interesse l’intervista allo psicanalista Nicolò Terminio sulla condizione della scuola oggi, nel riferimento alla “profondità del tempo della lettura e dello studio”, non più concepite come funzionali allo sviluppo delle competenze dell’individuo. Si tratta di una questione reale ed urgente alimentata probabilmente dall’adozione di una ratio che non offre più spazi per la riflessione e la maturazione del pensiero capaci di attraversare con profondità il tempo. La riflessione di Terminio rimanda implicitamente all’annullamento della stessa cultura del progetto, da intendersi come iter che consente, attraverso il tempo e lo studio, la maturazione di un’idea sino alla sua presentazione.

Si può affermare, riproponendo il rimando a don Milani avanzato dall’autore, che la vera formazione, la cui promozione spetta alla scuola quanto alla chiesa attraverso le sue ramificazioni nei territori, deve esaltare il valore del primato della persona, il primato dell’essere. Inoltre è chiaro il messaggio generale che trapela dalle pagine di Gumina, sintetizzabile nella necessità di orientare l’azione formativa verso talune categorie di giovani particolarmente disagiate e tra queste quella che raccoglie quanti allo stato attuale sono completamente inattivi sul versante del lavoro, studio e formazione professionale. Tuttavia per far questo occorre ricordare, come citato dall’autore nel rimando a don Milani, che oggi “nessuno si fida più di nulla che non sia vissuto prima che detto”; o per dirla con le parole del beato Paolo VI pronunciate nel 1974 durante l’Udienza al Pontificio Consiglio per i laici: “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni”.

Il libro educa, dunque, il lettore alla conoscenza delle principali questioni e mutamenti che attraversano il tempo presente, offrendo diverse chiavi interpretative e strumenti di pensiero con i quali provare a decifrare e comprendere fenomeni e problematiche sociali. Si configura, inoltre, come valido itinerario per tornare a pensare un nuovo modello di città nel quale inclusione, formazione e dimensione solidale possano rappresentare le fondamenta sulle quali erigere quella che l’autore definisce la “città affidabile”.

 

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