
La verità, amara, del 56° Rapporto Censis: è ora di salvare la fiducia nella democrazia
Sin dalla fine della seconda guerra mondiale, Giorgio La Pira era convinto che vi era da salvare «la fiducia nella democrazia: fiducia affidata non solo e non tanto alle leggi elettorali, quanto alla reale capacità a risolvere i veri problemi degli uomini: casa e lavoro». L’allora sindaco di Firenze scriveva queste parole nel 1952 al ministro della difesa Pacciardi nel tentativo di convincere il governo nazionale ad intervenire per evitare la chiusura degli stabilimenti fiorentini della Pignone che avrebbe provocato una crisi sociale e poi politica di elevate proporzioni. La preoccupazione di La Pira si fondava sul presupposto che l’incapacità di limitare la povertà avrebbe messo a serio rischio la tenuta della democrazia in Italia.
La convinzione di La Pira sembra la chiave di lettura idonea per interpretare quanto emerge dal 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Dalle rilevazioni del centro di ricerca risulta che in Italia si levano «autentiche istanze di equità che non sono più liquidabili semplicisticamente come “populiste”». La richiesta di giustizia sociale si fa sempre più forte alla luce della morsa dell’attuale crisi caratterizzata da diversi fattori: la pandemia perdurante, la guerra alle porte d’Europa, l’alta inflazione e la crisi energetica. Così, dichiara il documento, nell’immaginario collettivo «si è sedimentata la convinzione che tutto può accadere, anche l’indicibile: il lockdown, il taglio di consumi essenziali, la guerra di trincea o l’uso della bomba atomica». Ciò induce gli italiani a credere che il loro tenore di vita si abbasserà e che non si potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari.
A questa fotografia generale bisogna aggiungere, poi, alcuni dati sconfortanti: siamo fra gli ultimi in Europa per numero di diplomati e laureati ma, invece, deteniamo il primato continentale per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano; ci avviamo ad un “inverno” demografico che nei prossimi decenni svuoterà sia le aule della scuole e delle università sia gli studi dei medici di famiglia dato che quasi il 30% di questi ha più di sessant’anni.
Nonostante tale situazione, in Italia non si registrano intense mobilitazioni collettive ma soltanto una chiusura silenziosa verso il disimpegno – mista ad una perenne critica incapace di divenire azione – per tutto ciò che riguarda la comunità come avvenuto alle ultime elezioni politiche nella quali il primo partito «è stato quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record e una profonda cicatrice nella storia repubblicana: quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto».
Il quadro presentato dalla recente indagine del Censis non lascia dubbi. Il nostro Paese è in difficoltà e pare che soltanto un lavoro e una progettualità d’insieme possano affrontare una generale e manifesta crisi delle nostre comunità. Le difficoltà evidenziate sono ben più estese e profonde di quelle che dovette affrontare La Pira nella sua Firenze. Tuttavia, la motivazione per rispondere all’attuale stato delle cose è la medesima: occorre salvare la fiducia nella democrazia. Senza quest’ultima, oltre alle crisi già citate, saremmo chiamati ad affrontare ben altre difficoltà ancora più sfiguranti di quelle in atto.
Rocco Gumina