
“Le istituzioni hanno bisogno di generazioni nuove”. Intervista a Emanuele Tornatore
Sulle dinamiche legate all’amministrazione comunale, abbiamo intervistato il consigliere al comune di Bagheria, Emanuele Tornatore. Archeologo, è stato eletto nella lista del Partito Democratico.
– Sei stato eletto al consiglio comunale di Bagheria poco più che trentenne dopo una candidatura al consiglio provinciale e un’esperienza assessoriale. Perché, specialmente nel nostro tempo, è importante la partecipazione e l’impegno dei giovani in politica?
Nel 2008, a ventotto anni, sono stato candidato per il rinnovo del consiglio provinciale, primo dei non eletti, e a 29 anni sono stato nominato assessore nel comune di Bagheria per poi candidarmi al Consiglio Comunale della città. Non ho mai creduto alle rottamazioni ma ritengo importante e necessaria la presenza dei giovani nelle istituzioni. La giovinezza è tempo di entusiasmo, di sogno, di speranza nonostante tutto e nonostante tutti, la giovinezza ti invita ad osare, a guardare tutto con gli occhi di chi vuole e può cambiare il mondo. Non tutti i giovani però sono portatori di giovinezza, spesso ho incontrato giovani politici spregiudicati, disillusi, logorati dal poltronismo e dall’arrivismo. Serve essere non tanto giovani ma avere e mantenere lo spirito della giovinezza, senza essere ingrigiti dalle logiche dei partiti, delle segreterie. La politica e le istituzioni hanno bisogno di generazioni nuove, leali, entusiaste, speranzose, attive, appassionate. Generazioni nuove non smemorate ma che sappiano essere custodi della memoria, conoscano la storia, gli eventi del passato, gli errori commessi ma anche le grandi e piccole conquiste che la politica con i suoi uomini e le sue donne ha realizzato. La storia serve per imparare le buone prassi, per migliorare e scongiurare di commettere gli stessi errori.
– Secondo statuto, il ruolo del consiglio comunale è quello di vigilanza nei confronti dell’amministrazione per tutelare l’interesse dei cittadini. La tua esperienza nel civico consesso bagherese, rispecchia tale finalità?
Essere eletto consigliere comunale per chi vive e ama la propria comunità è un grande onore e una forte emozione. Ma “fare” il consigliere comunale in una città complessa come Bagheria è molto difficile. La gente si affida e si fida e spera che in un modo o nell’altro ogni problema che viene segnalato possa essere risolto quasi immediatamente. Purtroppo non è cosi, perché gli enti locali vivono momenti di profonda crisi economica e forti difficoltà organizzative, pertanto non è facile dare risposte immediate o arrivare a risolvere i problemi della comunità. Poi è ancora più difficile se ti trovi a fare il consigliere comunale di opposizione con una compagine di governo che non crede nel dialogo e nel rispetto istituzionale della minoranza. Mi sforzo di essere coerente con il ruolo che lo statuto comunale ci dà, stando sempre vicino alla gente della mia città, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, esercitando un ruolo di controllo a tutela di tutti. Mi sono sforzato in questi anni di mantenere un profilo alto nei toni e nei contenuti, di non rispondere mai alle provocazioni e non scadere nella “facile” arroganza dei politicanti. Poi è chiaro, ho commesso diversi errori, ho sottovalutato o qualche volta ho ignorato alcune indicazioni o inviti che arrivavano dalla gente, non sono riuscito a soddisfare in pieno le esigenze della gente. A volte sono stato assente proprio nei momenti in cui bisognava esserci e di questo chiedo scusa agli elettori ma soprattutto ai cittadini. Io non sono un politico di professione, per vivere e far vivere la mia famiglia devo lavorare, esercitare la mia professione. La politica non può essere un postificio, chi vive di politica non sarà mai libero di fare scelte diverse, di interrompere percorsi poco condivisibili.
Come deve muoversi un consigliere comunale in mezzo alla gente? Come può rappresentare al meglio i cittadini?
Un consigliere comunale, ma vale per tutti, prima di tutto deve prendersi cura della comunità, della sua comunità, deve vivere pensando che non è più un privato cittadino ma ogni sua scelta, ogni sua azione, ogni suo comportamento sarà giudicato, osservato e anche criticato o apprezzato dai cittadini. Chi rappresenta le istituzioni è responsabile per due volte per tutto ciò che accade in città. Essere consigliere comunale significa condividere un pezzo della propria vita con la città, significa condividere tempo e risorse, entusiasmo e carismi, speranze e perché no anche errori e scoraggiamenti. Ma chi governa, chi amministra non può mai tirarsi indietro, non può permettersi di tirare in barca i remi, non può trasmettere disillusione o odio e scherno per le istituzioni che egli stesso incarna e rappresenta. Il consigliere comunale deve parlare meno e ascoltare di più, deve sempre tutelare la dignità di ciascuno e seppur a contatto con il potere, resistere alle sue tentazioni che ti inducono a sentirti Dio, ad ergerti giudice e padrone degli altri. I cittadini devono avere la consapevolezza e il sentore che non eserciti un potere sugli altri ma ti avvali di un potere decisionale per migliorare le condizioni di vita della comunità, avendo sempre davanti i principi costituzionali e rifiutando sempre e in ogni momento qualsiasi condizionamento.
– Come valuti l’operato dell’amministrazione bagherese guidata da Patrizio Cinque?
Bella e insidiosa domanda. La risposta sarebbe secca e scontata ma spero di articolarla. Patrizio Cinque rappresenta il giovane del cambiamento che fa parte del movimento del cambiamento. Il movimento 5 stelle doveva essere l’antisistema, il sovvertitore delle vecchie logiche clientelari, facendosi voce dei cittadini con una democrazia diretta, senza filtri, dove ognuno vale uno. Patrizio Cinque doveva mandare a casa tutti i corrotti, tutti i nullafacenti, doveva rivoltare come un calzino la nostra città, partendo dalle periferie, si ispirava addirittura – come il suo guru Grillo – allo spirito di Francesco D’Assisi. Ovviamente a 4 anni dal suo governo, nulla di tutto questo. Solo insulti, processi, dossier, azioni mediatiche per denigrare, post, foto, denunce annunciate sul web e mai sottoscritte presso un ufficio di Polizia. Quattro anni di propaganda, di prebende, di lotte per le poltrone nelle partecipate, distribuzione di incarichi, decine di ragazzi assoldati dai parlamentari con piccoli contratti di assistenti parlamentari. È stata annientata la trasparenza amministrativa e politica, non si può accedere a documenti, è vietato lo streaming per le commissioni consiliari, i costi della politica non sono per niente diminuiti, molti di loro campano con il gettone di presenza, non hanno un lavoro e non lo hanno mai avuto. Ecco, posso definirli politici di professione, puritani con la doppia morale, dipendenti del web, di Grillo e pendono dalle decisioni di qualche nisseno.
– Il Partito Democratico è uscito a pezzi dalle ultime elezioni politiche, Un partito senza strategia e privo di leader riconosciuti, rischia di naufragare. Secondo te, alla luce di quali fattori occorre pensare e ricostruire l’alternativa?
Il Partito Democratico ha fallito, quando da comunità è divenuto organismo per pochi, quando non era più identificato con le idee, con la sua storia, ma con il nome del suo leader. Il PD muore appena diventa il partito di uno, lo strumento di potere del leader che credendosi onnipotente dopo le europee crede di poter fare a meno di tutti. Il PD fallisce quando non riesce a garantire il sostegno alla scuola, agli anziani, quando non riesce a parlare con i giovani e con i pensionati. Tutte queste categorie rappresentavano gli elettori storici del PD, dei DS e del PC e parte della DC e dei popolari. E invece nulla, siamo diventati autosufficienti, multimediali, rottamatori, siamo diventati casta. Non sappiamo cosa dire, a parte alcune battaglie importanti fatte e vinte tra queste il reato di caporalato, il reato per danni ambientali, le unioni civili, la legge sul dopo di noi per i disabili, speravo anche nello jus soli. Ma dopo nulla, una riforma del lavoro fallimentare, complicata da capire e da mettere in pratica, poco sostegno alle aziende e ai liberi professionisti, troppe tasse ancora sul lavoro. Ecco o il PD riparte proprio da questi temi, si rimette in discussione a partire da queste categorie della popolazione, o sarà la fine, e non vedo chissà quali altre alternative se non derive populiste, qualunquiste, vuote di qualsiasi storia e di qualsiasi visione di paese e di comunità.
– In varie stagioni, la storia politica italiana è stata segnata dal contributo positivo dei cattolici. A tuo parere, quale ruolo dovrebbero interpretare in questa stagione i cattolici in politica?
I cattolici, oserei dire, hanno il dovere di occuparsi della cosa pubblica, hanno il dovere di condividere le responsabilità dell’amministrare e del governare. Se lo facessero, darebbero alla comunità un valore aggiunto. Alla politica e alle istituzioni servono uomini e donne che portino nei contesti spesso crudi, freddi, incattiviti degli enti locali un clima di solidarietà, di semplicità, di serenità. All’indifferenza che serpeggia nelle istituzioni bisognerebbe opporre la sensibilità e il prendersi cura dei fratelli, necessita un linguaggio e un comportamento moderato, incline al dialogo, che rifiuti l’insulto e il giudizio sommario. Invece spesso i cattolici alzano la voce solo per alcuni temi sensibili, temi-simbolo e mi riferisco alla famiglia – come se agli altri non interessasse la famiglia – ad argomenti che attengono al sesso e alla procreazione. Per il resto, a parte qualche sporadica voce, il silenzio, il disinteresse. Servono i cristiani e i cattolici in politica, perché se annunciatori e testimoni del Vangelo, darebbero un importante contributo per costruire una comunità sana che metta al centro la carità, la via preferenziale dei poveri, degli ultimi, dei dimenticati, degli oltraggiati, dei cosiddetti invisibili che poi sono visibili eccome. Occorre riprendere lo spirito del Concilio Vaticano II e l’esempio di tanti cattolici politici che hanno fatto la storia dell’Italia e della Chiesa, tra questi Giorgio La Pira e Igino Giordani. Non serve un partito dei cattolici ma dei cattolici di parte, che parteggiano, che scelgono di schierarsi dalla parte di chi tutela la dignità di ogni uomo e ogni donna, in quanto fatti ad immagine di Dio e quindi nostri fratelli.
Intervista a cura di Rocco Gumina