
Non siamo, mai, soli. Quello stimolo sanremese che dovremmo accogliere
Tutto sommato, penso che l’esibizione di Achille Lauro a Sanremo abbia qualcosa da comunicarci. Di certo non sono in grado di decifrare le qualità artistiche del brano, tranne che sottolineare una certa musicalità subito memorizzata dal maggiore dei miei figli.
Sul suo gesto, però, credo che dobbiamo riflettere con maggiore attenzione.
Nella tradizione secolare della Chiesa, o meglio delle Chiese, esiste il battesimo come momento, oltre che sacramento, relazionale. Infatti, il cristianesimo non conosce nessuna forma di “auto-battesimo”, bensì ha sempre vissuto e proposto la relazione fra il celebrante e il credente innestati entrambi in un cammino comunitario.
Colui che celebra può essere un vescovo, un sacerdote, un diacono, un laico credente, persino un non credente che – tuttavia – desidera compiere la volontà del battezzando.
Conosciamo anche il battesimo di desiderio cioè la ferma volontà di un uomo o una donna a far parte della Chiesa. Desiderio che per gravi motivi non riesce a concretizzarsi. Volontà che si lega, comunque, ad un cammino di discepolato di un popolo come quello ecclesiale.
Ora, che Achille Lauro celebri una sorta di rito battesimale nel quale il celebrante e il credente coincidano, esprime assai bene la cifra della tempesta solipsistica che anima e attanaglia la nostra epoca. Infatti, con un gesto forte e volutamente provocatorio, Lauro espone con grande evidenza il livello raggiunto dalla nostra comunità umana: facciamo tutto da soli. Siamo soli. Pertanto, reputo Lauro un artista in grado di dirci, con un gesto semplice e decisivo, che siamo individualisti. Mi pare una verità sbandierata da studiosi di ogni indirizzo.
Forse, la migliore risposta a simile cifra della nostra epoca risiede sia nel vivere, sul serio, come comunità sia nell’avere bisogno dell’altro/Altro poiché da soli non siamo, quasi, nulla.
In questo cammino di riscoperta del senso della comunità, anche il cristianesimo e la Chiesa cattolica sono chiamati a dare un contributo nelle speranza che non coincida soltanto con l’alimentare piccolissime polemiche culturalmente e storicamente superate.
Quello che ha mostrato Lauro, lo viviamo in tempo di pandemia sulla nostra pelle di credenti o meno, di uomini e donne, di anziani e giovani, di lavoratori e di disoccupati. Pertanto il suo gesto non mi pare molto originale, al massimo ci ricorda quanto sia importante fare e vivere la comunità umana e ecclesiale.
Non ho visto la prima puntata di San Remo. Le ultime scorse, celebrate, edizioni mi sono sembrate noiose, organizzate solo con criteri di marketing musicale, complice anche la pandemia che ci costringe ogni sera alla catechesi televisiva senza concederci alternative per altri tipi di svago. Però ho visto in streaming l’esibizione di Achille Lauro. Non mi sognerei mai di menzionarlo come artista mucisale accanto a quelli che mi è capitato di citare in un mio recente libro (Gaber, Jovanotti, Branduardi, Zucchero, Battiato). Però è un fenomeno, indubbiamente: più sociale che culturale, ma un fenomeno, cioè una manifestazione esteriore di qualcosa che cova dentro le teste – spesso vuote – di certe persone. Non mi fermo solo sulla parodia battesimale, ma considero l’intero contesto della sua esibizione, compreso il testo – alquanto striminzito, davvero facile da memorizzare – con l’insistente ritornello: “come fosse domenica”. Achille Lauro si è presentato sul palco come fosse un divo, anzi un dio, atteggiando ad arte non-chalance e superiorità persino nei confronti del presentatore, oltre che del pubblico, a cui non si è degnato rivolgere alcuna parola all’infuori del suo “verbo”, cioè della sua canzone. Con la quale annuncia la sua personale religione, tutta votata al rito erotico, alla pratica del sesso per il sesso, consumato in maniera tale “da non farla innamorare”, come canta lui stesso stesso. Domenica, una nuova domenica, il suo giorno del “signore”, il giorno del suo nuovo culto, quando egli si rivela ai suoi fan idolatri, rivestito dei suoi paramenti (enquerado, direbbero gli spagnoli, vestito di pelle, quella sintetica dei calzoni neri ma anche quella nuda del suo sopracintola istoriato di geroglifici contemporanei). La parodia battesimale? L’atto che sancisce il nuovo culto… Più che solipsismo, una gran menata, nel senso letterale siculo del termine: una enorme masturbazione, ma fatta in tv.
Grazie della originale, e bella e arricchente, interpretazione dell’evento.
Mi permetto di banalizzare il suo sforzo interpretativo che trovo, forse, eccessivo visto che, penso, la finalità del protagonista è stata quella di sorprendere con un “effetto speciale” il pubblico. Sarebbe meglio che di questa performance di cattivo gusto non si parlasse più
I fatti pubblici, quelli artistici e culturali in genere, vanno commentati e, naturalmente, i loro significati vanno sempre al di là dell’intenzione degli autori. Se una performance di questo tipo, assai discutibile, permette una riflessione sulla nostra società, che ben vengano le riflessioni!!!