
Quel padre della repubblica chiamato Aldo Moro
L’attuale contesto politico italiano lascia agli osservatori davvero pochi dubbi circa la situazione di stallo e di crisi in atto. All’indomani del crollo del Muro di Berlino, della fine delle grandi narrazioni del Novecento e dell’avvento in Italia della seconda e poi della terza Repubblica, la politica partitica italiana sembra essere entrata in una fase di transizione che non pare risolvibile nel giro di poco tempo. Il processo che ha condotto a tale situazione è lungo e trova le sue radici nella degenerazione politica della prima Repubblica la quale, però, aveva visto fra i suoi costruttori e protagonisti grandi figure appartenenti al cattolicesimo democratico e popolare. Fra queste emerge indubbiamente Aldo Moro.
La politica, per il costituente pugliese, era un’occupazione destinata a riconoscere e tutelare la centralità della persona umana operante nell’ambito privato e sociale. Simile prospettiva si collocava in estrema antitesi alla visione dello Stato etico il quale ha portato nella sua forma degenerativa – a destra come a sinistra – all’attualizzazione pratica della deriva dittatoriale.
La proposta-programma di Moro era caratterizzata dal pensare allo Stato e alla società come a soggetti dinamici da interpretare nello sviluppo incessante e complessivo della storia. Da tale riflessione deriva il convincimento moroteo sulla democrazia come dimensione sociale mai totalmente attuata, ma in permanente compiersi. Così, la costante del suo pensiero politico è stata l’espansione per tutto il popolo italiano della democrazia. Ne deduciamo che quella di Moro era una visione profetica capace di essere ancora oggi profondamente attuale poiché legata alla centralità della persona, allo sviluppo della partecipazione politica e alla ricerca del bene comune.
Avvicinatosi in maniera definitiva alla politica durante gli anni del secondo conflitto mondiale, Moro sostenne fortemente la scelta repubblicana rispetto al mantenimento della monarchia in occasione del referendum istituzionale del 1946. Eletto deputato e scelto come membro della “Commissione dei settantacinque”, fu tra i protagonisti della redazione della nuova costituzione italiana.
Con il nuovo dettato costituzionale, si configurò una repubblica alimentata nella sua prassi democratica non solo dai grandi partiti popolari e dalla centralità della persona, ma anche da un ruolo positivo dello Stato nella vita economica e sociale. Di conseguenza per Moro, la prima opera ricostruttiva – dopo la tragedia della dittatura e della guerra – è delineata dalla strutturazione di uno Stato democratico e di una società civile dinamica.
Per il leader della Democrazia Cristiana, proprio la democrazia – concretizzatasi a partire dal dopoguerra – vede fra i suoi interpreti, insieme allo Stato democratico e alla società civile, il partito. Dal ragionamento moroteo ricaviamo che il soggetto partitico è fondamentalmente uno strumento per avvicinare il popolo allo Stato e per fondere posizioni individuali in vista di programmi rappresentativi. Quindi secondo Moro, i partiti dovevano svilupparsi come soggetti programmatici realmente popolari e democratici in vista del continuo compiersi della rappresentatività dello Stato.
Viviamo in un tempo dove la crisi del sistema, specialmente in Occidente, è assai sviluppata e pervasiva. Il decadimento del senso comune delle istituzioni politiche, economiche e in genere rappresentative – insieme ad una concezione individualistica dell’uomo – hanno condotto allo strapotere dell’economia finanziaria rispetto al primato della politica legata all’etica pubblica. Inoltre, il mondo senza frontiere della nostra società – sempre più multietnica, plurale e digitale – apre nuovi orizzonti politici, sociali ed economici. Proprio l’evoluzione del sistema contemporaneo ci invita a riprendere la lezione di Aldo Moro.
La visione morotea è impostata sui diritti della persona, sulla concezione democratica dello Stato e dei corpi sociali, sull’idea di un partito realmente rappresentativo. Questa prospettiva era fortemente fecondata dall’ispirazione cristiana la quale, per lo statista ucciso dalle Brigate Rosse, era destinata ad alimentare la costruzione e lo sviluppo di una comunità politica laica e plurale.
Possiamo dedurne che l’attualità di Moro è radicata nella sua convinzione del cambiamento costante della società e del compimento continuo della democrazia. A ciò, per il politico italiano, deve far seguito l’adattamento costante dei partiti e dei corpi sociali intermedi. Tale consapevolezza filosofico-politica, ha fatto di Moro uno statista in grado di comprendere la continua riforma della società e di attuare modifiche e miglioramenti necessari per non essere superati dagli eventi.
Il suo pensiero e la sua opera politica possono farci superare le secche legate alla nostalgia di un passato glorioso e permetterci di intendere con maggiore profondità la società in permanente cambiamento.
Rocco Gumina