Giuseppe Lazzati. Un laico fedele

Giuseppe Lazzati. Un laico fedele

6 Giugno 2018 0 Di Rocco Gumina

Giuseppe Lazzati nasce nel 1909 quando l’attività sociale e politica dei cristiani – lanciata dalla Rerum novarum di Leone XIII nel 1891 – era stata delimitata dalle restrizioni di Pio X legate alla chiusura dell’Opera dei Congressi e alla lotta al modernismo teologico, filosofico e politico. Muore nel 1986 a meno di tre anni dall’abbattimento del muro di Berlino e dal sorgere di un nuovo contesto geopolitico e culturale profondamente diverso rispetto a quello della fine della seconda guerra mondiale. Di conseguenza, Lazzati nella sua vita è stato un testimone della presenza cristiana nel mondo e per l’uomo che a partire dall’apparente società a maggioranza cattolica – quella che precede la seconda guerra mondiale – giunge ad un contesto sociale plurale – all’indomani degli anni Quaranta – nel quale la minoranza cristiana è chiamata ad agire nei termini della profezia e della duplice fedeltà alla città degli uomini e alla città di Dio.
Tra il 1933 e il 1942 trascorre il periodo della formazione culturale e di ricerca scientifica nel campo della letteratura cristiana antica alla Cattolica di Milano. La sua tesi di laurea è su Teofilo d’Alessandria, una sorta di vescovo-politico del quale Lazzati analizza le motivazioni politiche della sua opera religiosa.
Oltre allo studio, il suo impegno era rivolto all’apostolato tramite l’Azione Cattolica Italiana della diocesi di Milano allora guidata dal cardinale Schuster. Negli anni Trenta la sua opera era rivolta a realizzare una riforma della GIAC ambrosiana – di cui era presidente – pensata come una forma di apostolato a forte prevalenza spirituale e formativa rispetto ad una concezione associativa di massa di fedeli organizzata a schiera e difesa dei loro pastori. Secondo Lazzati, l’Azione Cattolica non doveva essere un movimento di massa, ma un luogo e un mezzo di piena attuazione della chiamata alla vita apostolica. Per lui, infatti, appartenere all’Azione Cattolica era una questione di vocazione e quindi di responsabilità verso i fratelli e il mondo. Il tentativo di riforma lazzatiana implicava un processo di adesione all’Azione Cattolica per selezione legata ad una vocazione ricevuta e non solamente ad uno slancio spontaneo di partecipazione. La sua comprensione radicale in senso evangelico della chiamata laicale lo condurrà prima ad aderire al sodalizio di consacrati Missionari della regalità fondato da Gemelli e poi a fondare l’Istituto Milites Christi – Cristo Re.
Nel periodo che va dal 1941 al 1943, partecipa alle riunioni di casa Padovani insieme ad altri professori della Cattolica di Milano. In questi incontri si cercava di delineare il futuro dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo. Le riunioni avevano lo scopo di ripensare la società italiana per prospettare un ordine nuovo cristianamente ispirato in vista della ricostruzione del mondo nel settore politico, economico e sociale. Questo gruppo riconsiderò la forma dello Stato in senso democratico alla luce dei radiomessaggi natalizi di Pio XII del 1942 e del 1944 i quali annunciavano in maniera esplicita la bontà del sistema democratico. La riflessione del Papa richiamava i cristiani ad impegnarsi nell’ora presente per ricostruire cristianamente la società. In tale contesto, Lazzati e il gruppo di casa Padovani – composto anche da Dossetti, La Pira, Colombo, Vanni Rovighi, Fanfani, Amorth, Giacon, Bontadini – sposano le posizioni filosofico-politiche di Maritain annunciate sia nel volume Umanesimo integrale del 1936 sia in Cristianesimo e democrazia del 1945. Entrambi gli studi del filosofo cristiano tendevano alla promozione di una struttura democratica e plurale – ispirata dal vangelo – in vista di un nuovo ordine politico da fondare sulla centralità della persona.
Nel settembre del 1943, in quanto capitano degli alpini fedele al Re e non ai fascisti di Salò, Lazzati venne deportato nei lager nazisti. La sua esperienza si concluse nel 1945. Durante la prigionia nei campi di concentramento in Austria, Germania e Polonia organizza incontri di formazione sui padri, gruppi di studio sul vangelo e la bibbia tramite i quali da un lato ripercorre le fondamenta della spiritualità cristiana dall’altro getta implicitamente le basi ideali per la nuova democrazia dopo il crollo dei regimi dittatoriali.
Tornato in Italia nel 1945, viene chiamato da Giuseppe Dossetti all’impegno politico diretto nel nascente partito della Democrazia Cristiana. La sua azione in questo ambito, costretta a realizzarsi per il bisogno dell’ora presente, si contraddistinse per un’elaborazione di cultura politica che ha trovato nella costituente e nella formazione delle future generazioni lo sfogo principale. Sin da subito, Lazzati nota come i cristiani erano incapaci di pensare politicamente. Per rimediare a tale situazione occorreva una vasta e progressiva opera di formazione. Fu tra i promotori del gruppo dei dossettiani che fondarono l’associazione Civitas humana e la rivista Cronache Sociali per ridisegnare il contesto sociale e politico su tre fondamenta come l’uomo, la libertà e la giustizia sociale. Sulla scorta del pensiero di Rosmini, per i membri di Civitas humana occorreva una riforma della Chiesa che generasse un rinnovamento della società politica. L’obiettivo era quello di contribuire alla rigenerazione cristiana della civiltà, pertanto di tendere alla formulazione dell’unità consequenziale fra il pensiero religioso e le finalità politico-sociali.
Sulle pagine di Cronache sociali, Lazzati condanna, sulla scia di Luigi Sturzo, la rottura machiavellica fra etica e politica e avanza, a partire dall’A Diogneto e da Maritain, la prospettiva dell’impegno dei cristiani nella città. Alla luce di questi presupposti teorici, l’opera dei credenti doveva caratterizzarsi dalla doppia cittadinanza in quanto sono membri della città eterna e componenti della polis terrestre. Duplice cittadinanza che conduce al piano del Regno di Dio e a quello dei regni di questo mondo grazie alla quale il credente agisce nel primo da cristiano e nel secondo in quanto cristiano. Per Lazzati, il cristiano attivo in politica deve sentirsi impegnato a modificare le strutture sociali e ad operarsi per un ordine più giusto e più umano. Da questa posizione, critica sia l’anticomunismo feroce e ideologico di una parte della Democrazia Cristiana e dell’Azione Cattolica, sia la frapposizione fra azione cattolica e azione politica operata dai Comitati Civici voluti da Pio XII e gestiti da Luigi Gedda. Viene eletto – in quanto componente della tendenza politica dossettiana alternativa agli ex popolari di De Gasperi – dirigente nazionale della Democrazia Cristiana, membro della costituente e deputato della prima legislatura dopo il fascismo. Termina la sua stagione politica nel 1953 dopo le dimissioni da parlamentare del leader della sinistra democratico-cristiana, Giuseppe Dossetti.
Rientrato nella diocesi di Milano stringe un intenso rapporto umano e spirituale con Giovanni Battista Montini-Paolo VI, prima come suo arcivescovo e poi come capo della cattolicità. Dal 1968 al 1983 è rettore dell’Università Cattolica di Milano.
Nel 1970, interviene pubblicamente sull’introduzione in Italia del divorzio attraverso la legge Fortuna-Baslini tramite un’intervista apparsa su Avvenire. Il rettore della Cattolica affermava la sua opposizione al divorzio e al referendum, ma soprattutto evidenziava l’agire del credente fedele alla sua chiamata in un contesto plurale nel quale i cattolici sono chiamati alla paziente fatica della mediazione e del dialogo.
Nel 1984, a meno di dieci anni dallo scandalo della politica italiana con Tangentopoli e Mani pulite, fonda l’associazione Città dell’uomo come spazio di formazione ed educazione al pensare politicamente alla luce dell’ispirazione cristiana. Il suo desiderio era quello di avviare un ripensamento della dimensione civile e politica sia per l’edificazione della coscienza credente sia per una reale, duratura e profonda riforma sostanziale della politica. Si trattava di passare alla cultura dei comportamenti, delle scelte radicali, della testimonianza. La nuova prospettiva, per Lazzati, si propone attraverso una laicità della città terrena che il cristiano deve riconoscere nell’assumere due atteggiamenti: la mediazione culturale e il dialogo. La fedeltà al mondo, così, ricorda al cristiano che non è consentita alcuna fuga dalla storia e nessuna scissione dualistica tra cielo e terra. Per tale motivo, Lazzati richiama sempre il carattere teologico dell’azione secolare. Infatti, il suo manifesto del pensare politicamente è un appello alla realizzazione fedele degli insegnamenti del Concilio Vaticano II sulla formazione del laicato adulto e sui rapporti fra chiesa e mondo.

Rocco Gumina

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