Il partito più “vecchio” d’Italia

Il partito più “vecchio” d’Italia

15 Agosto 2020 1 Di Rocco Gumina

L’ultimo voto sulla piattaforma Rousseau non rappresenta per il Movimento 5 Stelle l’inizio di “una nuova era” – come ha misticamente affermato Luigi Di Maio dopo aver appreso i risultati della votazione – bensì una conferma, certamente rilevante, di quanto ormai è palese da tempo.

L’assenso accordato dai militanti pentastellati all’abiura sul meccanismo che impediva la ricandidatura oltre il doppio mandato e all’avvio su tutto il territorio nazionale ad alleanze con altri soggetti politici non sancisce la trasformazione dei 5 Stelle da movimento a partito. Il voto in rete, invece, conferma, una volta per tutte, che l’unico partito “vecchio stampo” presente e agente nella politica italiana coincide con la truppa guidata da Gigi Di Maio. L’ultima votazione su Rousseau ha semplicemente confermato un processo che ha condotto Grillo e company dal “vaffaday” alla concretizzazione di una formulazione di sistema partito per nulla avveniristica ma profondamente similare alle esperienze – non sempre positive – del XX secolo.

Difatti – proprio come in uno dei “grandi partiti” del secolo scorso – il gruppo dirigente pentastellato ha avuto in questi anni la capacità di convincere la propria base di ogni giravolta possibile, immaginabile e contraria persino ai presupposti fondativi di quel soggetto che doveva incarnare la politica del futuro.

Inoltre i 5 Stelle – a differenza del resto dello scenario politico italiano – da tempo non si identificano più in un unico leader carismatico ma in una vera e propria oligarchia capace di dividersi qualsiasi cosa gli capiti a tiro e, nel frattempo, di resistere a ogni critica senza concedere significative defezioni o scissioni. È vero molti militanti, persino fra quelli eletti in parlamento, hanno abbandonato la comitiva di Di Maio ma – a differenza del Partito Democratico – gli addii fra i pentastellati non hanno mai prodotto alternative politiche bensì – nel migliore dei casi – percorsi di leadership minoritarie annegate nel mare magnum della politica.

A questo dobbiamo aggiungere che – proprio come in uno dei “vecchi partiti” della prima repubblica – il movimento di Casaleggio riesce a contenere e dunque a far in qualche modo coesistere diverse anime culturali e politiche al suo interno. Fra i pentastellati, infatti, ritroviamo tanto l’estremismo di destra quanto quello di sinistra ma anche il peggiore giustizialismo e l’ambientalismo – misto al pacifismo – utopico e incapace di progettare il reale. Fra i seguaci di Grillo – in particolar modo nei parlamentari – si ritrovano persino cattolici specialmente quelli che non hanno trovato – in altri soggetti politici – poltrone comode sulle quali sedersi a riposare. Così, all’opposto del progetto che animava il Partito Democratico e che doveva sintetizzare la tradizione politica comunista con quella della sinistra democristiana, il piano di Grillo, Casaleggio e giovani è riuscito dove persino i professionisti della politica avevano fallito.

Solo in una dimensione il partito dei 5 Stelle si allontana radicalmente dai grandi e “vecchi” partiti del XX secolo. Si tratta dello spessore culturale, politico, spirituale, etico e sociale che animava la classe dirigente dei soggetti politici del secolo scorso fino ad aprire – nonostante i tanti limiti – le vie al futuro delle nostre comunità.

Senza tale spessore, il partito pentastellato si presenta come un soggetto già datato – il XXI secolo infatti ha necessità di argomentare e concretizzare la politica in modo differente rispetto al passato anche recente – con l’aggravante di ritrovarsi sia tutti i difetti dei “vecchi partiti” sia di far coincidere come unico scopo della propria attività quello di restare a galla fin quanto si potrà.

Insomma, il voto su Rousseau ha soltanto comprovato che i 5 Stelle sono l’unico partito “vecchio stampo” presente e attivo nella politica nostrana. E questa non è una buona notizia per il nostro Paese che – a pochi mesi da importanti appuntamenti elettorali – si ritrova con uno straripante qualunquismo di destra, una scomposta alleanza giallorossa e una grossa assenza: un centro in grado di guardare a sinistra.

 

Rocco Gumina

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